Nord e Sud - anno XVII - n. 125 - maggio 1970

Letteratura di osservazione, analisi, contemplazione idilliaca o decadente, e dissacrazione neoverista, delle classi subalterne, che compaiono in luoghi ed epoche diverse nella letteratura fino ai nostri giorni, non mi sentirei di sostenere. Del resto, l'eroica illusione di Tolstoj stesso non resse alla verifica della storia; e infatti i Russi ora lo comiprendono tutti « ma non dai suoi racconti popolari, essi non sono letti dal popolo». Infatti il popolo fa le sue scelte letterarie, che non sono mai quelle che ci si aspetta da lui, secondo una logica che sfugge a quanti ancora, seppure partendo da ideologie diverse, vedono nella letteratura una « scuola», offerta dall'alto, da chi « ne sa di più». Gli orientamenti del lettore delle classi subalterne sono dovuti, insomma, a una sorta di autodifesa, perché egli sente che quando gli si spiega « come è», in realtà spesso gli si vuole insegnare come si desidera che sia, cucendogli addosso precostituiti schemi di comportamento etico o sociale, o addirittura imponendogli un certo modo, folkloristico o estetizzante, di essere « po~ polo», che egli non sente, o non sente più o perfino violentemente respinge. Del resto Garin 3 ricorda, a proposito della situazione della cultura italiana negli anni del primo fascismo, che su di essa pesava « un limite antico, che era alla radice di tante sconfitte e che nessuno, neanche il Salvemini dei momenti migliori aveva valicato: il distacco dei dotti, degli uomini di scienze e di lettere, l'idea ·ohe il rapporto dell'uomo colto col pololo ~' al più, · BibliotecaGino Bianco di maestro e scolaro». E gli fa eco Luporini scrivendo, nel 1946 6 che gli intellettuali nostri danno l'im~ pressione « di persone che sanno benissimo come la società italiana dev'essere ma non sanno assolutamente com'è». Ma lo stesso Garin, quando constata 3 « il fallimento del più nobile tentativo compiuto da un uomo di cultura per inserirsi nella vita del suo popolo » indulge ad una analoga concezione dell'intellettuale come «guida», affermando che egli deve « aiutarlo ad esprimere le proprie esigenze e ad orientarsi». È spiegabile, quindi, la diffidenza che questo tipo di didascalismo suscita in coloro cui è rivolto. Oltre a ciò, Sklovskij osserva che la consapevolezza è dolore, e implica la ras·segnazione, onde chi non riconosce giusto e « assegnato per sempre » il suo modo di vivere, preferisce, ai libri che gliene parlano, l'evasione, il sogno. Che però, e anzi in modo deteriore, è anch'essa produzione programmaticamente « per» il popolo. Ne deriva, ed è anche l'opinione di Sklovskij, che letteratura autenticamente popolare è in definitiva solo quella utile, quella che asseconda il lettore nel divenire «come» vuole essere, ossia che egli adopera spontaneamente come mezzo per impossessarsi della cultura, e soprattutto della abilità dialettica, come di uno strumento di lavoro atto a rendere più agevole l'esistenza. È. perciò riaff enna to il carattere rivoluzionario, innovatore, della retorica come arte dell'uomo, perché espediente adottato dal suo mutevole ingegno per sopravvivere, per acquistare un migliore stato, per difen127

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