Nord e Sud - anno XVII - n. 125 - maggio 1970

Napoli e la sua regione o di velleitaria concorrenza nei confronti di Napoli, e in pari tempo cominciano ad acquisire coscienza della necessità di essere ben serviti da una metropoli efficiente, che non può essere che Napoli, questa non è una contraddizione della quale sarebbero prigionieri i ceti dirigenti delle altre province campane, ma è un momento tipico dell'evoluzione in corso rispetto al modo tradizionale con cui questi ceti dirigenti delle province campane erano soliti subire questa egenomia parassitaria della vecchia capitale. Per quanto ci riguarda, noi siamo stati sempre testimoni di accusa, nel processo che fin dai tempi di Salvemini e di Dorso è stato intentato dagli scrittori politici alla classe dirigente meridionale; ed in particolare siamo stati addirittura promotori di un processo alla classe dirigente napoletana, alle consorterie impegnate nella conservazione ad ogni costo del potere locale, per gestirlo nelle forme più disinvolte del clientelismo; forme più disinvolte che si sono aggravate nei nuovi rapporti che la speculazione edHizia ha consentito di stabilire: « io ti dò i voti di preferenza, se tu mi dai le licenze di edificare; e quanto più alto e più fitto tu mi consenti di edificare, tanti più voti di preferenza io sarò in grado di farti ottenere». Ma ora non si tratta di maramaldeggiare. Certo, se io potessi lasciarmi trascinaire dall'onda dei sentimenti, direi che questi sentimenti sono di indignazione e sono di sgomento, indignazione per gli errori di imprevidenza che sono stati commessi, sgo1nento per gli errori di reticenza che si potrebbero ancora commettere. Ma, in sede politica, questi senti.menti, e sia pure -l'indignazione e lo sgomento, devono essere controllati. Fern1a rimanendo, quindi, la nostra denuncia della imprevidenza e della reticenza cui si sono dimostrati corrivi i tradizionali ceti dirigenti della nostra città, noi rivolgiamo a tutte le forze politiche un appello a voltare pagina ed a scriverne una che sia migliore di quella che è stata scritta da amministratori imprevidenti e reticenti. Sentiamo di non essere più soli come ai tempi di Lauro. Il consenso della pubblica opinione ci accompagna, da quando si sono viste e valutate le conseguenze del malgoverno che noi denunciavamo: da quando i crolli e le voragini hanno dimostrato che le nostre denunce non erano dettate da un preconcetto settarismo; da quando gli spasmi della circolazione urbana sono cresciuti in modo tale da confermare che noi avevamo visto giusto e che altri non volevano vedere e non volevano prevedere. D'altra parte, non vogliamo tanto insistere sui misfatti che sono stati commessi nel passato, quanto piuttosto sulle buone azioni che si potrebbero intraprendere in futuro, specialmente se l'elettorato saprà riconoscere la necessità di chiamare ad intraprendere queste buone azioni, uomini capaci di concepirle. E intanto il fatto .nuovo che dobbiamo cogliere è che si 115 BibliotecaGino Bianco

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