Luigi Compagna Si crearono così con il partito sovietico dei rapporti decisamente ambigui, di cui il movimento operaio occidentale ha duramente pagato le conseguenze. Ai vertici, quella che avrebbe dovuto essere solidarietà finì con l'essere identificazione; quelli che avrebbero dovuto essere strumenti di interdipendenza e di corresponsabilità politica finirono con )'esserlo di dipendenza meccanica e talvolta di asservimento. Alla base si volle imporre un modello di astratto partito rivoluzionario, rigidamente disciplinato e verticalizzato, purgato severamente dal dissenso, congelato per anni nel duplice mito dell'Unione Sovietica, « patria del socialismo » e della rivoluzione che « un giorno si farà ». Eppure, se ci si domanda in che cosa abbia potuto tangibilmente giovare alla causa della classe operaia questa politica del centro di gravità che i comunisti occidentali hanno voluto attuare in modo così esasperato e per cui oggi il P.C.I., nello sforzo di allentarne i legami e di prendere le opportune distanze, si viene a trovare in una posizione che è oggettivamente molto difficile, non si riesce davvero a trovare una risposta soddisfacente, una risposta cioè che non sia viziata dalla solita sconfortante « doppiezza» comunista. E questo perché quella del centro di gravità ~on avrebbe potuto, non poteva e comunque non può più rappresentare una linea politica. Tutt'al più può essere una tattica, ma una tattica che si è sempre rivelata a senso unico ed a cui sono legate le più cocenti delusioni del sentimento e dell'idea socialista. La crisi che serpeggia oggi nel mondo comunista e soprattutto le soluzioni repressive con cui si cerca di farvi fronte da parte dell'attuale gruppo dirigente al Cremlino si profilano come la indiscutibile sconfitta - della tattica imposta dai comunisti ad uso del mercato politico occidentale; la « normalizzazione» a Praga e la tensione con Pechino costituiscono -l'evidente e drammatica prova che l'Unione Sovietica, nei suoi interessi di grande potenza, non vuole e soprattutto non può tenere in alcun conto le necessità e le difficoltà dei grandi partiti comunisti occidentali. « Una volta di più i nostri comunisti », ha scritto Enzo Bettiza, « mai sufficientemente convinti dalle lezioni di quella storia di cui marxisticamente si giudicano i più autorevoli interpreti, devono constatare sulla propria pelle che la strategia di un partito comunista straniero non conta nulla per Mosca ». L'odierna dottrina Breznev appare insomma come la riconferma. in versione aggiornata della tradizionale visione di Stalin, per il quale i partiti comunisti dentro l'impero dovevano - costituire una muraglia strategica intorno alla Russia, mentre i partiti all'esterno della muraglia dove,·ano considerarsi delegati unicamente a rappresentare e a difen74 BibliotecaGino Bianco
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