Angelo R. Humouda quando la redditività economica dell'op·erazione, per svariate ragioni, è a priori una gros,sa incognita? Qui si potrebbe p·arlare ,di conflitto tra logica della pubblica utilità e logica del p·rofitto. Tuttavia, in qu-e'Sto, caso, sostenere che il capitale è necess,ariamente contro la cultura è assurdo q_uanto sostenere che esso sia necessariamente a favo,re. In realtà esso è abulico ed opera in un sen.so o nell'altro a seconda della p,resenza o assenza di efficaci stimoli che concorrano a determinare le sue decisioni operative. Se, ad esempio, si estendessero ai grandi classici le agevolazioni fiscali adottate per un esiguo numero di recenti « film di qualiità », fo,rise la parte più illuminata della classe imprenditoriale cinematografica contribuirebbe, in qualche mis,ura, alla soluzione del problem.a; tanto più che i contatti triangolari tra critico, gestore e distributore, ii1iziati negli anni 'SO in Francia e recentemente emi,grati in Italia, produssero la formula del cinéma d'essai ovvero del locale a programmazione selezionata dalla critica. Mentre in Francia sono addirittura sorti dei critici-gestori-distributori, - cioè una nuova figura di operatore culturale in campo cinematografico, i,l quale, accollandosi anche il rischio economico di un'operazione culturale, riesce ad inserire stabilmente nel circuito commerciale i grandi classici del muto e del sonoro -, in Italia non si è ancora oltrepassato lo stadio del « patrocinio » prevalentemente riservato a locali di prima visione. Insomma i cinéma d'essai n·ostrani tendono ad assicurare un mercato ai film potenzialmente poco commerciali cli nuovi registi piuttosto che a garantire una regolare visione da parte del pubblico dei film più significativi della sto.ria del cinema. Le rare apparizio,ni, sui nostri schermi, di classici, sono opera diretta del circuito co,mmerci,ale (Chaplin) o indiretta, tramite appositi organismi distributivi, della cineteca (Eisenstein). Inoltre la politica di,stributiva degli enti statali a ciò preposti (I talnoleggio ), contraddittoria e confusa nella sua concezione ed attuazione, tende molto ~hiaramente ad ignorare il problema. Mentre nel settore dell'urbanistica si è ormai affermata l'idea di un piano regolatore che assicuri un po' di verde al cittadino, nel settore cinematografico lo Stato di diritto fatica ad affermarsi: il classico dello schermo equivalPnte al verde pub,blico, non solo non trova tutela alcuna, ma è sottoposto a vessazioni giuridiche più pericolose degli ostracismi econo,mici dettati dal profitto. Si spiega così come 1,a riedizione estiva nel 1968 di Quarto Potere (1941) di Orson Welles, assente dagli schermi italiani da circa vent'anni e universalmente considerato come il film che ha segnato una svolta decisiva nella concezione stilistica della mise en scène, l1a assicurato alla pellicola una « vita reale» di pochi mesi e giace ora negli inesplorati depositi delle case di distribuzione. Tra circa tre anni scadranno i diritti di circolazione del film e verrà quindi meno anche la possibilità teo·rica di vedere o rivedere l'op•era. La norma che limita la circolazione delle pellico1e ad un periodo massimo di cinque anni è assurda quanto un'ipotetica legge che consentisse la 42 Bibiiotecaginobianco
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