Nord e Sud - anno XVII - n. 122 - febbraio 1970

Lanfranco Orsini costituisce la testimonianza vivente e, per la sua rarità, più prezio 1sa di una stagio.ne che oggi, in così diversa temperie culturale e sociale, sembra app·arire talvo 1 lta se no·n nella lontananza del mito· (un mito di individuale e insiem.e civile umanesimo) al1nen(? come l'irripetibile ed armonioso equilibrio di una società tramontata, la società della « grande conversazione » in cui, secon 1do che Croce scriveva, « l'Italia era come un salotto di gente educata e colta, che discuteva, dissentiva, dubitava e, nei più dei casi, si metteva d'accordo· ». E va ricordato in pro·posito il compianto di Fausto· Nicolini quando, narrando dei famosi ricevimenti domenicali in cui nella casa del Croce conveniva quasi tutta la Napoli i,ntellettuale di allora, malinconicamente notava come di essa fossero rimasti così pochi che « a contarli tutti (e tutti ultraottuagenari. o quasi) no,n occorrerebero, nemmeno le dieci dita delle due mani: l'ispanista Eugenio Mele, il pittore Francesco Galante, l'editore Riccardo, Ricciardi, il geografo Roberto Almagià, ..., il po,ligrafo. Dino Provenza!, ..., il bibliografo fiorentinizzato Tammaro de Marinis e, ,salvo me, forse nessun altro ». Dei quali anche lui Nicolini, e più recentemente Tammaro de Marinis, se ne sono andati; e Riccardo Ricciardi, ormai solo co,n Daria e con qualche altro, sta a rico,rdare ed a ricordarci quel tempo. Il tempo di Matilde Serao· e di Scarfoglio•, di Gaeta e di Bracco, di Pica e di Di Giacomo: quando il caffè Gambrinus apriva le sue animatissime sale ciascuna generosamente dipinta da un pittore dell'ottocento napoletano, e 'che egli parlando mi evoca con quel st10, tono non mai caricato o patetico, sibbene scherzosamente leggero· e sempre fiorito di aned•doti dall'umorismo so,ttile, che bisog11a essere napoletani nel sangue e partecipi di tutto un clima mentale per co.gliere e pienamente gustare; umorismo che ancl1e si esplica nel collezionare e mostrare al visitato 1 re impressionabile o superstizioso oggetti dal gusto un po' macabro che mentre discorre con lui inavvertitamente trae fuori dai suoi cassetti. Ma del napoletano in Ricciardi trionfa l'umanità innanzi tutto: umanità che gli fece dire della sua amicizia per Croce: « In lui amo non il grande filo1sofo, il grande sto,rico e il grande critico,, ma l'uomo semplice, leale, rettilineo. Lo amerei col medesimo affetto anche se non avesse scritto ne1nmeno una pagina di quella sua mo,ntagna di ilibri; anche se fosse nulla più che un maresciallo dei carabinieri ». Ed egli stesso, in uno dei suoi rarissimi articoli, ha narrato l'incontro con il filosofo nella libreria Pierro di piazza Dante di Napoli, una sera di fine ottobre 1903, quando vedendolo contrariato per non riuscire a trovare il volume delle Elegie ro1nane ·di D'Annunzio, esauritissimo in libreria e a lui necessario per la stesura del gra11de saggio dannunziano che appunto « La critica » avrebbe pubblicato in quell'anno, si offrì di cedergli il suo, 100 Bibiiotecaginobian~o i

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