Nord e Sud - anno XVII - n. 121 - gennaio 1970

.L Giornale a più voci · testava la linea ufficiale del partito, dall'altra il sessanta per cento che l'approvava sia pure con valutazioni diverse .. Per superare, o mitigare, questa contrapposizione, la Direzione Provinciale uscente e la Segreteria nazionale (rappresentata da Cossutta) proposero di affidare ad tina Commissione ristretta il compito di formare la nuova Segreteria che non doveva essere ttna « Segreteria della maggioranza » (cioè « on1ogenea », ma nel senso negativo), ben·sì una « Segreteria unitaria». La minoranza rispo 1 se a questa proposta con intransigenza (voi siete la maggioranza, voi governate il partito). Fu necessario costituire una Segreteria « omogenea » (cio che non si voleva) con Pietro Valenza segretario e Franco Dani le, Andrea Geremicca, Maurizio Valenzi, Egidio Sandomenico, Antonio Mola. I dirigenti più preoccupati del concetto di unità, riten.nero questa soluzione una iattura. Non era possibile dirigere il partito senza l'apporto di tutte le su componenti. Nel 40 per cento escluso dalla gestione del PCI c'erano molti giovani, molti quadri nuovi. La situazione era tesa, il partito condannato all'inazione. Si cercò (con risultato questa volta positivo) di recuperare l'unità nelle Commissiorni-lavoro. Molte di esse (lavoro di ma sa, studenti) vennero affidate a comunisti dissidenti. Lo stesso Comitato Federale, pt1r senza togliergli il carattere di collegialità, fu suddiviso in Co1nmi sioni permanenti. Alcune vennero dirette da Caprara (demoorazia) e da Donise (pace, Nato, problemi internazionali). Fu un momento felice per il partito. Con questo « organigram1na » embrò recuperato il concetto di unità, la lotta tra le due componenti sembrò attenuarsi. In realtà alla lotta frontale subentrò una sfida: quella di verificare sui problemi reali, da parte delle due componenti, la validità di certe ipotesi, di certi metodi. La rottura definitiva però non tardò molto. Al congresso di Bologna Caprara venne escluso dal Comitato Centrale in quanto la delegazione napoletana espresse un giudizio di scarsa coerenza e responsabilità sulla sua azione politica. Gli si cominciarono a rimproverare duramente le suggestioni personalistiche, la vocazione a capo carismatico. Ricordando la sua esperienza di capo dell'Amministrazione di Portici, si riesumarono certi aneddoti che avevano procurato a Caprara la fama di « sindaco senza scarpe ». Chiaramente, la polemica politica si spostava st1 un piano di diffamazione personale. Caprara e i suoi reagirono con vigore accusando il partito di mantenerli, a Napoli, in uno stato di « st1bordinazione t1ltraminoritaria » (cfr. « Il Manifesto», n. 7, dicembre '69). Caprara inasprì i stioi attacchi al ·partito, portò il dissenso nelle sezioni e nelle assemblee pubbliche. Cominciò a teorizzare la necessità del « muro contro muro», del contropotere, della conferenza permanente in alternativa al Consiglio· comunale, sollecitando i lavoratori all'indisciplina ed all'insubordinazione permanenti come nuova strategia di lotta. La crisi del PCI a Napoli assumeva aspetti vistosi. Nel blocco maggioritario (centri,sta) uscito dal congresso col 60 per cento, c'erano almeno due anime: una mitica e una dissacrante, ma legate entrambe da una volontà di sintesi unitaria. Da una parte quei dirigenti consa•pevoli di co1sa significa aderire alla linea Berlinguer del XII congresso (blocco storico, in59 -~BibliotecGaino Bianco

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