.. Calogero At!uscarà esiste solo una strada di montagna che prim;a di giungere in pian,ura è obbligata a superare la sella di Fadalto. Ed esiste una ferro 1 via che, se vuole evitare lo stesso percorso, è obbligata a scendere in pianura per la valle del Piave tra Belluno e Feltre. Sempre il documento di ap·poggio sostiene che il luogo p·uò disporre di abbondante energia elettrica. E invece, anche in i11.questo caso, siamo al limite della disponibilità, come dimostra appunto la diga del Vajont, co,struita su rocce friabili e la più alta d'Europ·a, per sfruttare una risorsa che non è più utilizzabile a costi convenienti. Quanto alla mano d'opera (e per non parlare del probl 1 ema della sua qualificazione), non •par dubbio che una popolazione di mille abitanti non è in grado di sostenere da sola le 400 ,prima e le 600 dopo unità lavo,rative richieste dall'impiantai del.la Landi 1 ni. Longarone ,dovrà allora diventare area di immigrazione e di pendolarismo. Come non rim,piangere, di fronte ad una scelta che appare necessariamente innaturale perché è obbligata a ricorrere quasi del tutto a risorse di importazione, una diversa destinazione degli investimenti pubblici e privati? Come non lamentare la miopia di una iniziattva che, p,ur di non riconoscere l'errore di partenza, in·siste ·sulla strada sbagliata? Perché non scegliere attività che, anziché richiedere un investimento 1 di 35 milioni per addetto, ne domandi un sesto, un ·settimo appena,· come è avvenuto nella vicina pianura veneta dove ogni posto di lavoro non ha richiesto più di cinque milioni? Le vicende di Longarone rappresentano un ti•pico spaccato di vita italiana attuale. Si ritengano o meno colpevoli la SADE, l'ENEL, il Ministero dei Lavori Pubblici di quanto è avvenuto sei anni orsono, è in 01gni caso certo che la traged:ia ·del Vajont poggia su due con-dizioni di fondo e di ordine più generale, che erano maturate molto tempo prima. Come è diventato evidente a tutti sul finire del 1966, quando le alluvioni aut11nnali han,no colp,ito contemporaneamente, in più parti ed in misura' mai vista il paese, il dissesto della nostra montagna sta per toccare il fondo. Prin1-a l'inco,nsulto disboscamento, al quale non è certo mancato il contributo, delle pov·ere comunità di montagna la cui unica risorsa era rap,presentata da qualche ettaro •di bosco. Poi la fuga degli abitanti, l'abb·ando,no della magra terra dei versanti meno impervi, il venir meno delle cure che l'esercizio dell'agricoltura impone al terr~no. E l'assoluto disinteresse pubblico, infine, per l'ambiente fisico, per l'idrografia di montagna, affidata in godimento alle società idroelettricl1e che vi costruiscono una fitta maglia di bacini, cli dighe, di centrali senza coordi·namento alcuno con altre fo1 rme di im•piego della risorsa utilizzata, senza alcuna preoccupazione per le conseguenze sulla morfolo1gia e la geologia. È questo il favorevole terreno su cui matura il degrado della nostra montagna, gli eventi tragici talvolta, ma in generale la fine di ogni civile forma di convivenza fondata sull'economia di sussistenza del passato, e contemporaneamente il mancato sviluppo di ogni civile forma di convivenza 52 ., BibliotecaGin·oBianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==