Nord e Sud - anno XVII - n. 121 - gennaio 1970

/ Noi del '45 che solo in quei fanatici trovava una guida disi11teressata ed efficiente. Anche per temperamento, tendevo a sottranni alla ferrea disciplina di partito in cui mi pareva di compromettere tutte le ragioni della mia rivolta al fascismo, che inizialmente era scaturita soprattutto dall'insofferenza per l'ottuso conformismo delle idee. Nell'ambito di quella disciplina, non avrei dovuto neppure lasciare Napoili, perché le « istanze » superiori - come si cominciava già a dire, orribilmente, allora - m'imponevano -di restare a fare fino in fondo il mio dovere di democratico napoletano. A questo proposito, per la verità, la polemica si era accesa anche tra noi amici del vecchio gruppo. Partire equivaleva per taluni di noi a disertare il posto di combattimento, tradire una battaglia che a Napoli era cominciata col 1799, abbandonare alla fame ed alla borghesia il sottoproletariato indigeno. Io, però, e non solo per ragioni di opportunità o di impazienza, respingevo un ragionamento che trovavo provinciale ed ingenuo. Mi era chiaro sin da allora che la condizione del Sud può mutare ·solo in rapporto ad un mutamento generale della società italiana e delle sue scelte, ma non posso negare che i11fondo al mio dissenso c'erano anche ispirazioni diverse: l'ansia di avventura a cui ho fatto, cenno, l'insofferenza per un ambiente in cui avevo sofferto e visto soffrire mia madre al di là di ogni umiliazione concepibile, l'antipatia per i dirigenti locali del Partito, meglio una sorta di oscura diffidenza verso le loro qualità umane, che del resto era reciproca. Tommaso Giglio la pensava come me ed accettò con me di lasciarsi alle spalle la riprovazione dei superiori. L'emittente radiofonica della Quinta Armata in zona di operazioni era allogata in una località di campagna della Toscana, poco discosto da Altopascio. Dormivamo in una casa rurale, mentre la cucina era sistemata in un immenso magazzino e la trasmittente nei vagoni di un camion, o come diavolo si chiamasse. Di colpo, dall'atmosfera euforica di Napoli, ci trovammo trasportati in un clima rarefatto e severo, il clima della guerra, del fronte, delle cannonate. Il sottufficiale americano che ci comandava, un ebreo livornese fuggito negli Stati ai primi accenni di persecuzione razziale, era un discepolo di Salvemini che ci amava poco perché ci considerava ancora intrisi di fascismo; e volle di-- mostrarcelo brutalmente suggerendo al cuoco militare del distaccamento di non trattarci come i soldati del suo paese ma di ridurci la razione. Ai suoi occhi, dovevamo essere pressapoco sul piano dei due disertori tedeschi che facevano lo stesso lavoro nella stazione da campo. Non so · dire se il ragionamento fojsse completamente sbagliato 1 o peccasse di cinism-o, di grettezza, di rancore: so che tutto sommato ci fece del bene. Il lavoro era divertente, la guerra volgeva strepitosamente al meglio. Per 109 . ·~Bib -ioteca Gino Bianco . .

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