Nord e Sud - anno XVI - n. 120 - dicembre 1969

/ Giornale a più voci I di una eventuale rinunzia alla libertà in favo1 re di un astratto concetto di giustizia? L'equivoco, a mio avviso, sta proprio in questi punti e nasce, starei per dire, da una confusione di termini (oltre che ·di concetti) che forse è bene chiarire: quando i liberalsocialisti ne parlavano, quando noi oggi parliamo di « giustizia», questa veniva intesa nel senso corrente del termine, nel senso di « virtù » platonica o evangelica che dir si voglia. E non crediamo ci sia uomo che non sia d'accordo stilla necessità di pers'eguire questa stessa virtù: né, mi pare, poteva essere da meno Croce. l\tla il discorso cambia quando dal ~ significato corrente si passi a qt1ello politico del termine: e Croce, che come teorico della politica di certe cose se ne intendeva, non poteva accedere all'idea che uno Stato, una struttura sociale, potesse essere fondata su una virtù, come Machiavelli e Vico gli avevano bene fatto apprendere. Per cui egli capi,va che postulare la giustizia come fon1damento dello Stato significava praticamente (e correttamente del ,resto) intenderla con1e egt1aglianza, da perseguire certamente, se non da realizzarsi immediatamente. Sicché, quando polemizza con il concetto di « giustizia », Croce la intende nel senso illuministico di « eguaglianza » e non app,unto nel senso in cui la intendevano - o la intendono - le dottrine liberalsocialiste o socialdemocratiche. Il pro,blema, come allora ·dicevo, nasce da questo equivoco: e se si vuole si potrà anche dire che l'interpretazione di Croce non sia corretta, che non necessariamente ,la giustizia debba sconfinare nell'astratta eguaglianza, limitatrice di libertà. Può darsi appunto che sia così: ma mi pare che ci troviamo su un terreno leggermente diverso da quello con cui correntemente si interp·reta la polemica crociana contro la « giustizia ». E solo assumendo questa posizione come definitiva del discorso di Croce, si potrà sciogliere quell'interrogativo che proprio Leo Valiani si poneva nel 1963, quando scriveva di non riuscire a darsi ragione del perché Croce rimp•roverasse al partito d'azio·ne « d'inalberare la diade 'Giustizia e Libertà', costituita dall'unione di un concetto filosofico con uno pseudoco.ncetto », e di non riuscire a vedere come mai n·el,la realtà politica potesse essere « una menomazione della libertà » il fatto che la giustizia sociale fosse intesa « come pratico ideale ». La via per sciogliere questo interrogativo mi pare appunto di averla indic_~ta: ed è quella di rendersi definitivamente conto che per Croce, co1 me dicevo, il termine « giustizia» ha in politica un significato diverso da quello che ha nella vita etica: e se in questa le .due forime possono anche coesistere, restando la giustizia a livello di virtù che è comunque doveroso· perseguire, in politica invece esse sono, diverge11ti, perché la giustizia qui significa, alla maniera illuministica e socialista radicale, eguaglianza. E che eguaglianza e libertà siano due momenti che si escludono a vicenda, lo ha proclamato non. solo Croce, il che è fin t•rop,po noto e ovviamente scontato, ma lo hanno ·dichiarato - anche se ciò potrà sembrare paradossale - persino gli stessi teo~ rici del social1ismo radicale, i quali, per bocca di tm loro notissimo studioso, Galvano Della Volpe, hanno parlato di una libertas major, che sarebbe la 53 J SibliotecaGino Bianco '

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==