Luigi Compagna alla quasi totalità •dei comunisti il partito come « l'incarnazione organizzata della teoria», ossia come l'organizzazione che si distingue da tutte le altre in seno al movimento operaio per la p,rerogativa di possedere, e di possedere esclu·sivame.nte nei propri « capi», la teoria rivoluzionaria. La verità è che se quella schematizzazione ideologiéa, al tempo in cui vem1e formulata da Lenin, era pure un riflesso astratto delle condizioni reali e dei rap,porti di forza propri del paese e del periodo storico cui si riferiva, la Russia zarista dei primi decenni del secolo, pretendere che essa abbia valore di p,rincipio anco,r oggi in Italia, in condizioni che sono state dagli stessi comunisti ricoinosciute totalmente diverse, e comunque tali da consigliare una tattica e una strategia radicalmente diverse. è semplicemente un nonsenso. Un nonsenso che impone ancor oggi ai dirigenti comunisti, e il caso del « Manifesto» ne è la più viva e recente testimonianza, di difendere tenacemente al proprio interno quella disciplina di ferro, quella compattezza monolitica e tutti quegli altri miti burocratico-militari che, opportunamente dissolti, potrebbero portare u•n·a ventata di ampio e libero dibattito in quello stesso partito che continua a proclamarsi « veramente ed unicamente rivolu- . . z1onar10 ». Il rifiuto della discussione e la netta chiusura ad ogni tendenza diversa da quella ufficiale, che· il PCI ha opp·osto alla Rossanda, a Pintor e a Natoli, ipocritamente tacciati di « frazionismo», richiama l'attenzione di tutta la sinistra italiana su quello che costituisce il pt1nto fon.damentale della disponibilità comunista ad una battaglia democratica di trasformazione delle istituzioni. Co,me possa, cioè, conciliarisi per il PCI di oggi, l'inammissibilità delle · correnti n·el proprio seno1 con quella pluralità di partiti che dovrebbe permanere anche dopo il passaggio al socialismo, secondo quanto chiaramente affermato nel Con-gresso di Bologna. Già colui che può a buon diritto ritenersi il più grande rivoluzionario di sinistra, Trotsky, aveva considerato la vita del,le frazioni all'interno del partito come questione strettamei1te collegata all'esistenza di più partiti. « La proibizione dei partiti d'opposizione - ha scritto Trotsky in La rivoluzione tradita - portò con sé la proibizione delle frazioni: la proibizione delle frazioni condusse alla proibizione di pensare in modo diverso dal capo infal, libile. Il monolitismo poliziesco del partito ebbe come conseguenza l'impunità burocratica, ch·e divenne ·a sua volta la causa •di tutte le varianti di demoralizzazioni e di corruzione ». La questione delle correnti nel partito, come dimostrano appunto le posizioni di Trot2sky ieri e del « Manifesto» oggi, non è dunque questione di menscevichi, di riforimisti socialdemocratici o di vili op·p,ortunisti, come per anni ha preteso di presentarcela il PCI, ma è al-· tresì una tendenza reale del movimento operaio e, quindi, secondo il linguaggio marxiano, dialetticamente unitaria e obbligatoriamente imprescindibile per l'esistenza stessa del movimento. Il fatto che il comunismo italiano continui, negli anni '70, a respingerla .. come estranea e nemica agli interessi dell 1 a classe operaia, dimostra come esso difenda, nella concezione leninista del partito, una visione innegabil46 Biblio eca Gino Bianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==