Nord e Sud - anno XVI - n. 120 - dicembre 1969

Giornale a più voci ·vicende comuniste, il brutale meccanismo del « centralismo democratico », che di democratico effettivamente ha ben poco, ha prevalso, confermando palesemente agli occhi della pt1bblica opinione che « il PCI è, e resta, un partito diverso» come ha scritto Alberto Sensini sul « Corriere della Sera » del 27 scorso. Secondo una prassi ed un'o 1 rtodossia che sono state da sempire prer~ gaitiva dei comunisti, i vertici del p•artito hanno avocato a sé ogni decisione, troncando bruscamente il dibattito che era stato avviato con la base, e che sembrava riuscisse finalmente a mobilitare i militanti comunisti su di un piano apertamente conoscitivo e no,n piì1 soltanto emotivo. Tutti i discorsi che si erano, fatti, dal Congresso di Bologna in poi, su un « nuovo corso» della politica comunista, su una diversa dialettica interna, su un inizio di tolleranza e di apertura in senso pluralista, hanno dovuto inevitab~lmente segnare il passo di fro1 nte agli invalicabili limiti che, per la credibilità di una lotta democratica e socialista di rinnovamento delle condizioni sociali, presenta oggi un partito, strutturato sul modello leninista. « Ora che il dittatore è scomparso - notava Aldo Garosci in un suo scritto del '58 a proposito della « destalinizzazione» - e i suoi seguaci han cercato di ridurlo di proporzioni, riuscendo a darne u1n'immagine che appare grottesca per il suo carattere gratuito, staccata così come essa è stata dalle vicende russe, e riportata ad una fantomatica mania personale (il 'culto 1 della personalità»), i comunisti, al potere o all'opposizione, han cercato di raccogli1ere tra i frammenti della sua statua ideologica infranta, una preziosa piantina, il leninismo ... ». Il leninismo, come esso è recepito dal PCI di oggi, non è più quella teoria della rivoluzione e quell'apologia d,el potere assoluto dei « rivoluzionari di professione » quale era stato negli originari impulsi bordighiani, ma è altresì regola di condotta e soprattutto, giustificazione di una classe dirigente, incapace di superare le proprie ambiguità e di porsi coraggiosamente i problemi di trasformazione della società in cui opera. Se è vero, infatti, cl1e uno degli insegnamenti fondamentali di Marx era stato quello di guardare, sotto le giustificazioni ideologiche, alla realtà delle società e degli interessi che esse difendono, è ugt1almente vero che a questo insegnamento il marxismo dei comunisti italiani viene costantem,ente meno quando si tratta di analizzare non più la società dove governano gli altri, ma quella dove governano loro, la società del loro potere e dei loro interessi: il loro partito. Questo loro partito, organizzato appunto secondo il cosiddetto « centralis·mo democratico», ha la sua origine ideologica nella famosissima affermazione di Lenin: « senza teoria rivoluzionaria non può esservi movimento rivoluzionario», affermazione che, in quanto richiamava alla necessità dello studio e dell'assimilazione del marxismo, aveva un indubbio valore pratico, imm'ediato, ma che invece il comunismo volle elevare ad affermazione teoric;,:t di valore assoluto, in grado di fornire la base a tutta la concezione l·eninista del partito. L'affermazione di Lenin, giudicata secondo un rigoroso canone marxiano, si sarebbe indubbiamente rivelata un'autentica schematizzazione ideologica, ma in p1 ratica essa servì con sufficiente naturalezza, a far accettare 45 Bi•btiotecaGino Bianco ..

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