... Antonino Répaci e) Impegno, da p,arte della Serbia, di n<;>ncostruire nell'Adriatico arsenali e di non tenervi flotte militari; da parte dell'Italia, di non oltrepassare con la sua flotta il canale di Otranto; f) Trieste e Fiume e magari anche tutta l'Istria, costituite in una dogana libera; le linee ferroviarie, che mettono o n1etteranno :in comunicazione i porti italiani e serbi dell'Adriatico con le retroterre magiare, tedesche, boeme, regolate da convenzioni internazionali analoghe a quelle che esistono fra l'Italia e la Svizzera per le comunicazioni fra la Svizzera e il Mediterraneo. Quest'ultima condizione non guarirebbe certo nei magiari e nei tedeschi il rancore della sconfitta, né eliminerebbe in essi l'aspirazione a riprendere il dominio politico dell'Adriatico. Ma eliminerebbe ogni motivo economico permanente di inquietudine, e distrarrebbe le popolazioni dell'hinterland dall'avviare il loro commercio verso il Mare del Nord, o verso il Mare Greco, anzi che verso Fiume e Trieste. La soluzione, che noi vagheggiamo, è agli antipodi di quella p,ropugnata dai nazionalisti. Questi, occupando la Dalmazia e Fiume e l'Istria e Trieste, pensano di dominare così tutte le comunicazioni nel mare della Bosnia, della Croazia, dell'Ungheria, della Slovenia, dell'Austria, della Boemia, e sperano di u.tilizzare queste posizioni politiche per sfruttare economicamente tutte le terre tributarie di Trieste e di Fiume. Ma non otterrebbero con la loro prepotenza altro risultato se non quello di sviare tutto il commercio adriatico verso il Mare del Nord, verso il Mar Nero, verso l'Egeo e di associare nell'odio anti-italiano serbi, croati, sloveni, magiari, tedeschi e czechi s. I nazionalisti, pur nel consueto loro fumoso linguaggio, no,n perde-. vano occasione di distinguere la loro posizione da quella. dei democratici. Un collaboratore dell'« ld,ea Nazionale», Luigi Medici del Vascello, così pu11tualizzava questa posizione in un suo articolo del 18 febbraio 1915: ' Non saranno i sentimentalisti di maniera, né le aspirazioni ostentate di certa democrazia, a piegarci verso un gruppo; come verso l'altro non lo potranno i richiami a dai patti che, se non fossero tramontati, non ci impegnerebbero egualmente, per ragioni di logica e di materiale contraddizione alle necessità della nostra stessa esistenza. Noi lasciamo agli internazionalisti, verdi o rossi che siano, d'invocare l'intervento in mone di rprincipi che sono patrimonio di minoranze e che non permetteremo mai s'impo·ngano alle ragioni superiori della Patria. La decisione vuole essere fatta di ben più alte e mature considerazioni. ...Non un solo aspetto, ma l'insieme del quadro, non la preoccupazione per un mare, sibbene per « tutto » il nostro mare, non l'aspirazione verso una terra, ma· verso « tutte» le terre italiane ancora avulse dalla Patria; non la visione della minacciante egemonia di un popolo o di una razza, ma la volontà ferma di conquistarci il nostro posto in faccia a « tutti » i popoli e a « tutte » le razze. Noi vogliamo essere presenti nel conflitto europeo, appunto per avere diritto 5 G. SALVEMINI, Dal patto di Londra alla pace di Roma, Ed. Gobetti, Torino, 1925, pagg. 6-8. 94 BibliotecaGino Bianco
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