Nord e Sud - anno XVI - n. 118 - ottobre 1969

.. / Giornale a più voci che le truppe russe avevano invaso un paese comunista e avevano restaurato l'« ordine»; diversa è stata soltanto l'interpretazione che, per motivi di opportunità politica, ha avuto l'avvenimento. Avremmo avuto un caso di falso soltanto ove la stampa comunista avesse negato l'intervento sovietico tenendone all'oscuro i lettori, i meno sprovveduti dei quali potevano trarre certe conclusioni sulla base della semplice ammissione del fatto, al di la delle esercitazioni dialettiche con le quali veniva giustificato. Per esempio, era falsa la stampa sovietica quando scriveva che l'intervento in Cecoslovacchia era stato richiesto dagli stessi cecoslovacchi, in quanto parlava di un avvenimento che non era affatto accaduto; falsa ad esempio è ancora la stampa ufficiale di Atene quando nega che nelle carceri greche si torturino i prigio,nieri politici. Insomma, il falso giornalistico, la totale perdita di credibilità si ha soprattutto quando si nega l'accaduto e non tanto quando lo si manipo·la con l'interpretazione faziosa (anche se ovviamente questo procedimento, specie quando è portato oltre i limiti della tollerabilità, è odio1 sa la sua parte): e questo può avvenire solo nei paesi a regime totalitariq, dove la fonte di informazione è una sola, e non nei paesi democratici dove, esistendo più fonti di informazione, non si possono tacere le notizie come tali, anche se talvolta è assai sgradito doverle pubblicare; e crediamo che la stampa comunista avrebbe fatto volentieri a meno, se solo lo avesse potuto, di parlare tredici anni fa dei fatti di Ungheria. Ma al di là dell'interpretazione, che funziona alla maniera di « letto di Procuste », l'informazione, ancorché frammentaria, resta sempre, ed al lettore è sempre data la possibilità di filtrare il sottofondo di verità contenuto nello scritto, dal momento che qua., lunque interpretazione si deve pur reggere su una notizia i cui dati essenziali .non possono essere alterati se non andando oltre la comune ed accettata « disonestà giornalistica ». Certamente il discorso si complica quando si entra nel merito dell'interpretazione stessa, quando si misura il valore di quella « scelta» di cui parlava Scalfari: perché allora si tratterà di vedere se quelle interpretazioni siano frutto di convincimenti personali, di un'analisi critica, qui veramente obiettiva o per lo meno sincera, o se invece non si tratta di acquiescenza ai « padroni », di malinteso lealismo verso l'ideologia professata anche di fronte ai suoi fallimenti e così via. Qui veramente il discorso diventa assai difficile e rientra nel campo della responsabilità individuale, nella «coscienza» (se questa parola vale ancora qualcosa) del giornalista: qui il fatto non riguarda più il sistema (o lo riguarda solo quando si tratta di un sistema totalitario dove vige lo « stato di necessità», dove è in gioco talvolta la stessa sopravvivenza fisica), bensì le persone, la loro maggiore o mino 1 re disposizione a . servire. È evidente che quando si opera in regimi democratici, il discorso verte non tanto sulla verità - le cui possibilità abbia.mo già visto quali siano -, bensì su questo altro punto: quale è il margine di indipendenza lasciato oggi, in questo contesto, al giornalista? La pluralità dei giornali, i loro di65 Bi biiotecaginobianco

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