Antonio Pellicani rino, Ein·audi, 1969) a non trascurare qu1 elle forze sociali, econo1 mi'che o culturali che si agitarono al di sotto delle scelte istituzionali del fascismo, a soffermarsi cioè su1le va:rie correnti fasciste e sul peso che esse ebbero nelle vicende del regime. Ven·gono così illustrate l'azione della b,ase « rassista » e di quella sin1 dacalista, entrambe in continuo con1 trasto con la sempre p1 iù accentuata normalizzazione mussoliniana, le esigenze· di rinnovamento tecnico-produttivo agitate da quei teorici attenti ai ,sistemi p1roduttivi moderni, le reazioni degli ambieniti giuridici nazio11,alistici vicini a Rocco che accentuarono i,l carattere gerarchico e b11rocratico del regime. Così procedendo, De Fel1ice si volge a saggiare quella che era la reale consistenza del regime, col1 to nella dialettica tra Stato, partito e società. Dal compromesso iniziale tra la propria spinta eversiva, le strutture esistenti e i ceti dominanti, il fascismo ,deriva quella scarsa cap,acità creativa che fu uno dei suoi p1 iù ap1 pariscenti caratteri. T1 eso ad uno sforzo egemo,nico diretto anche al proprio, interno e concenitrandosi sempre più into1 rno alla persona del dittatore, il movimento si fa regime allargando la propria pretesa totalitaria, conquistando tutte le leve di comando e identificandosi semp•re più col potere statale, col risultato di anntlllare qualsiasi capacità di autonomia elaborativa di idee e di programmi. La proclamata collaborazione dei fattori pro·duttivi, realizzantesi in quell'ordinamento corporativo alla cui gestazione e ai cui insuccessi De Felice dedica molta attenzione, ven1iva così a nascere, anziché da una nuova stru,ttura economica, dalla presenza egemonica del partito, presenza che in ogni altro setto,re dell1 a società non pro,duceva che una costante mortificazione di ogni fermento vitale, senza tuttavia impedire che, nonostante il perfezionamento dei· mezzi coerci,tivi nella vita sociale, spesso tramite le due istituzio•ni afasciste ancora presenti - Santa Sede e corona - il paese si distaccasse progressivan1-ente dal regime. È attraverso questo tipo di analisi, da un lato misurando 1 la inconsis,tenza dello sforzo creativo del regime, dall'altro sottol,ineando la funzione di quei centri tradizionali di potere politico, o, di elab·orai:ione culturale che, pur non scontrain,dosi col regime ed anzi integrandosi in parte con esso, tuttavia sopravvissero alla sua pretesa egemonica, che De Felice giunge alla conclusione che lo Sta,to totalitario non riuscì mai aid essere v1 eramente tale. Per Stato totalitario sembra debba intendersi 11n mo,dello di Stato astratto, quasi una meta ·potenziale di ogni regime autoritario. A noi sembra che la mancata, chiarificazione del termine che dà praticamente il titolo al volume non ne costituisca tanto una lacuna marginale ma influenzi invece tutta l'indagine svolta e il suo stesso carattere empir.ico. Il regime fascista, invece, con i suoi contenuti, è una delle realizzazioni concrete - e de11e più importanti - che h1anno condotto alla diffusione del termine. Le stesse caratteristiche del regime fascista che convincono De Felice del suo carattere non totalitario 1, sono in gran parte com11ni ·ad altri stati totalitari e non hanno costituito storicam,ente un motivo della loro non esistenza e a volte nemmeno del loro crollo. La coesistenza di strutture e centri di potere tradizionali, il sopravvenire diffuso ,dii potenziali o.ppositori interni, il mancato 110 Bibliotecaginobianco
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