Nord e Sud - anno XVI - n. 115 - luglio 1969

Guido Fabiani 2. Il piano zonale va inteso come un punto di approdo del processo di programmazione e co1ne il momento in cui, più propria1nente, si può attuare quella che comunemente viene definita la « partecipazione dal basso » alla program·mazione. Ma perché ciò possa avvenire, occorre una condizione preliminare: la presenza, cioè, di un quadro di riferimento, all'interno del quale le co1nunità locali possano definire le loro scelte. Come possibile quadro di riferimento viene subito da pensare, evidentemente, agli schemi regionali di sviluppo: ma una parziale valutazione di questa recente esperienza ci deve disilludere a questo proposito, perché se una cosa, fin dall'inizio, appare ch1ara in questi schemi, è che le parti riguardanti i singoli settori non riescono mai a costituire capitoli di un discorso unico. Ciò avviene anche nello schema campano, che peraltro merita di esserie citato per aver tentato di elaborare un modello che, collegando fra loro i più importanti parametri della struttura economica regionale, si propone di condizionare la definizione ed il raggiungimento degli obiettivi al funzionamento del meccanismo economico regionale così individuato nelle sue grandi linee. Questo interessante tentativo, però, ha mancato nel suo scopo per due motivi. Il primo risiede nella scarsa disponibilità di dati: una serie triennale che per la sua brevità rende scarsamente attendibili i risultati; jl secondo nel fatto che, oltre questo punto, l'unitarietà del discorso si è spezzata, ed anche qui la trattazione dei problemi dei singoli settori è ri,masta avulsa dal contesto generalre. Certamente bisogna riconoscere che le stesse direttive emanate per la redazione degli schemi regionali hanno fatto sì che, anche nell'ambito strettamente settoriale, non ci si sia mai- potuti discostare da vaghe individuazioni, dal prospettare obiettivi che non tenevano in alcun conto i fenomeni di competitività intersettoriali e, all'interno dello stesso settore, interzonali. E coUegata a ciò è stata sempre caratterizzante l'esclusione di metodologie, altrove già largamente in uso, che permetterebbero l'analisi di questi fenomeni e la individuazione di soluzioni tecniche ed economiche che, derivate da scelte politiche, comportino una razionale utilizzazione delle risorse naturali. Le carenze, quindi, degli schemi regionali di sviluppo hanno concorso a impedire che il discorso sui piani zonali venisse portato fino in fondo. E questa sarebbe da ritenersi una ben grav,e responsabilità, soprattutto politica, se non tenessimo debitamente conto del fatto che, o~iettivam·ente, siamo in una fase iniziale del processo di programmazione e che questo ha tempi di attuazione molto lunghi, sia nei suoi aspetti poHtici che in quelli tecnici. 68 BibliotecaGino Bianco

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