Nord e Sud - anno XVI - n. 115 - luglio 1969

Mario Pendinelli confronti della programmazione. Ma da essi ci si poteva attendere una partecipazione « negoziata », che li mettesse in condizione di partecipare direttamente alle scelte del paese. La scuola, gli ospedali, il Mezzogiorno, l'urbanistica, la sistemazione del suolo: sono tutti problemi che interessano direttamente i lavoratori quanto, e forse più, di un aumento salariale. Specie se questo non si traduce in un aumento « reale » del tenore di vita dei lavoratori ma, come spesso accade, viene assorbito dall'inflazione. I sindacati affermano che la minaccia dell'inflazione è, in realtà, un « ricatto » al quale non possono sottostare. Ciò è senza dubbio giusto, se riferito ad alcune posizioni di certi ambienti di « retroguardia » del mondo industriale; n1a il vero problema - come ha scritto il direttore de « La Stampa », Alberto Ronchey, in un « fondo » del 20 giugno scorso - è quello ,di saper conciliare una politica di rivendicazioni salariali con una politica di espansione della produttività, e quindi di accelerazione dello sviluppo economico del paese. Dire che queste sono concezioni che restano ancorate al « sistema », cioè ad una visione neocapitalista della società, non significa niente. Perché i ·sindacati, come del resto ogni forza politica che si rispetti, devono pur fare i conti con la realtà nella quale sono chiamati ad operare. Lo stesso Partito comunista sembra avere compreso, specie dopo il suo ultimo Congresso, che l'Italia è un terreno fertile per i « rivoluzionari » - di cui è oggi disponibile un vasto campionario: da certe pattuglie del movimento studentesco a taluni gruppi d'ispirazione maoista, castrista, anarcoide, ecc. -, ma scarsamente propizio per le rivoluzioni. Ed allora? Il meccani·smo di sviluppo della società italiana può certamente essere modificato. Ma l'unico strumento valido di cui oggi si può disporre, per farlo, è la politica di programmazione. A condizione, naturalmente, che essa sia veramente « una politica » e non, come è stato fatto fino ad oggi, un miscuglio di contraddizioni, di debolezze e di velleitarismo. C'è quindi da chiedersi quale sarebbe potuta essere la sorte della politica di piano, se fosse stata elaborata con la partecipazione attiva e consapevole di organizzazioni come quelle dei lavoratori, forti di milioni di aderenti. Devono i sindacati porsi questi problemi? Un sindacato vecchio tipo, che si limiti a camminare a rimorchio di un partito o di una corrente di partito, che si occupi soltanto dei problemi degli occupati trascurando quelli della massa disoccupata, può anche ignorarli. Ma un « sindacato nuovo », no. Il segretario dei metalmeccanici della CGIL, Bruno Trentin, ha am38 BibliotecaGino Bianco

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