Nord e Sud - anno XVI - n. 115 - luglio 1969

·' , NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Giorgio La Malfa, La politica di piano in democrazza - Giulio Picciòtti, Le ACL! contro. la DC - Mario Pendinelli, Il sindacato nuovo - Guido Fabiani, Un contenuto per i piani zonali - Angerio Filangieri, Il futuro delle colline e scritti di Gino Bonito, Aldo Canonici, Dino Cof rancesco, Antonio Duva, Sara Esposito, Ugo Leone, Alfonso Marrese, Antonio Pellicani, Aldo Schiavone. ANNO XVI - NUOVA SERIE - LUGLIO 1969 - N. 115 (176) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI Biblioteca Gino Bianco

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SOMMARIO Editoriale [3] Giorgio La Malfa La politica di piano in democrazia [ 6] Giulio Picciotti Le ACL! contro la DC [24] Mario Pendinelli Il sindacato nuovo [35] Dino Cofrancesco Antonio Duva Ugo Leone Note della Redazione Il contrattacco - La paura della contestazione - Prof essori e giornalisti [ 44] Giornale a più voci Frammenti per una teoria federalista [50] Le ACL! e il Mezzogiorno [54] , La marcia dei trentamila [ 59] Città e territorio Sara Esposito L'esperimento di Monaco [62] Argomenti Guido Fabiani Un con.tenuto per i piani zonali [ 66] Angerio Filangieri Il futuro delle colline [75] Antonio Pellicani Aldo Canonici Aldo Schiavone Recensioni La parabola di Albertini [ 100] Una scienza nuova [103] La riflessione sulla città [ 107] Cronache e memorie Alfonso Marrese I meridionalisti pugliesi [ 111] Lettere al Direttore Gino Bonito Lo scrigno chiuso di Foggia [126] BibliotecaGino Bianco

... Editoriale I Nei giorni scorsi, quando scrivevamo 'le note della redazione che si leggono più avanti in questo numero di « Nord e Sud», si temeva la scissione socialista, ma ci si augurava che l'istinto di conservazione - non· diciamo il buon senso, e nemmeno il sentimento degli interessi generali e permane7Jti del paese - avrebbe alla fine prevalso: onde il peggio poteva essere evitato ed il meglio poteva essere cercato, senza che rott_ure non riparabili pregiudicassero la possibilità di salvare tutto ciò che meritava di essere salvato, il governo in, prin10 luogo, con il suo avviato programma di riforme, e comunque la sola maggioranza oggi riconoscibile nel Parlamento e nel paese. Ora che ci accingiamo a scrivere l'editoriale, ultimo atto della nostra fatica mensile, siamo co~tretti a farlo sotto il carico di preoccupazioni generali che riflettono un disagio senza precedenti nella storia della nostra Repubblica: siamo entrati nella fase più acuta di una crisi che era già gravissima e che si è ulteriormente aggravata. A testimonianza dei sentimenti che ci hanno animati in questi giorni, non abbiamo d'altra parte voluto modificare i- testi delle note della redazione, ispirati dalla preoccupazione specifica che si potesse insabbiare o ann.acquare la riforma universitaria; riforma che ora, nel contesto della crisi più generale che si è aperta nello schieramento della niaggioranza, non sap-piamo proprio se e come potrà essere portata avanti. E tuttavia sappiamo bene che ormai è in gioco assai più che non l'attuazione di questa o di quella riforma. Il governo presieduto dall'on. Rumor era stato formato dopo difficili e tenaci sforzi; e si sperava che, al riparo dell'attività di questo governo, i partiti che dovevano risolvere il problema della nuova maggioranza, la DC ed il PSI, lo potessero fare più agevolmente. E invece non sono stati capaci di risolvere quel problema: non lo ha risolto il Congresso della DC, che lo ha rinviato al Consiglio Nazionale, e non lo ha risolto la riunione del Comitato Centrale del PSI, che si è conclusa con, la scissione e di conseguenza ha provocato le dimissioni del governo, aprendo la crisi della maggio1".anzaparlamentare. Incapaci, dunque, di trovare una soluzione al problema di un lorq interno equilibrio democratico, la DC ed il PSI hanno rovesciato sul governo del paese le conseguenze di questa incapacità, di tanta impotenza politica. E questo è avvenuto mentre, oon evidente contraddizione, 3 BibliotecaGino Bi'anco

Editoriale sia la grande maggioranza della DC sia la grande maggioranza del PSI, divise l'una e l'altra sulle questioni di potere nei rispettivi partiti, si riconoscevano unite nel giudizio positivo sull'attività del governo e sulla sua volontà e capacità di realizzare il programma concordato. Naturalmente, la DC potrà sempre dire: che il problema del suo interno equilibrio democratico era sulla via della soluzione, che sarebbe stato risolto dal Consiglio Nazionale. E se ora quel problema sarà eff ettivamente risolto, il merito sarà riconosciuto alla stessa DC; se invece non dovesse risolversi, la colpa sarà scaricata sui socialisti: perché la colpa di avere messo in crisi il governo e la maggioranza parlamentare è dei socialisti, in maniera quanto mai appariscente. Dal Comitato Centrale socialista è venuta una sconcertante manifestazione di irresponsabilità politica: non ci son.o stati vincitori, perché la sconfitta ha coinvolto tutti. I socialisti hanno infierito contro se stessi; e lo hanno fatto all'indomani di un discorso di Nenni molto bello e molto lucido, convincente per l'opin.ione pubblica proprio in quanto dettato dalla coscienza dei pericoli che una avventata condotta di questa o quella corrente socialista avrebbe reso incombenti per tutto il paese: ulteriormente esasperando, e prolungando oltre i limiti della ragionevolezza, le conseguenze di un periodo di incertezza che le vicende socialiste - a partire dal « disimpegno» dopo il 19 maggio, e passando per il Congresso dell'autunno scorso, prima, e poco dopo per lo scontro della presunta nuova maggioranza con le componenti residue della vecchia maggioranza - avevano già esasperato. Malgrado il monito di Nenni, si è dunque verificato il peggio: De Martino e Mancini hanno condotto la loro azione in modo sconsiderato dall'inizio alla fine e hanno provocato l'altrettq.nto sconsiderata reazione di Preti e di Tanassi. Ma tutto ciò che Nenni aveva previsto in conseguenza della sconsideratezza degli uni e degli altri, tutti i pericoli che Nenni aveva cercato di scongiurare con il suo appello alla ragione, tutte le reazioni a catena che Nenni aveva indicato come le risultanti di un' analisi politica del resto non difficile, se non per le menti annebbiate dalle lotte di puro schieramento o per i cervelli inariditi dalle astratte e sempre più meccaniche dispute ideologiche, coinvolgono ora i socialisti e, quel che è peggio, non soltanto i socialisti: perché non v'è dubbio che la scissione del PSI, come hanno scritto i giornali francesi, avrà conseguenze sproporzionate alle cause che l'hanno determinata (il titolo di « Combat » è stato: Cancrena dei partiti e crisi del regime). E non è da escludere che, come ha scritto il corrispondente da Roma del « Sunday Telegraph », il socialismo italiano abbia « perduto ormai tutte le speranze di poter diventare una significativa forza politica ». 4 Biblioteca.Gino Bianco

·' Editoriale Ci si chiede: quale consistenza elettorale e quale incidenza politica potrà avere un partito come quello guidato da De Martino e da Mancini? un partito che non vuole dichiararsi socialdemocratico e che, anzi, considererebbe un'offesa questa definizione? un partito che tuttavia non è comunista e non è cinese, ma è in concorrenza con un partito massimalista che si qualifica per le sue inclinazioni cinesi e con un partito comunista che sì qualifica per le sue inclinazioni revisioniste? E quale potrà essere la consistenza di un, partito socialdemocratico come quello. guidato da Preti e da Tanassi? un partito più o meno squallidamente clientelare, vecchio e povero di contenuti sia ideologici che programmatici? Vorremmo sbagliarci, ma a noi sembra improbabile che quanto resta del socialismo italiano possa avere rilevante incidenza sul piano qualitativo e consistenza sul piano quantitativo; c'è da temere anzi che al socialismo italiano rimangano la consistenza elettorale e l'incidenza politica che sono rimaste al socialismo francese. Intanto non c'è più una maggioranza riconoscibile nel Parlamento e n.el paese. Si deve ritrovare una maggioranza e probabilmente, non essendo prevedibile ritrovarla nel Parlamento, la si dovrà cercare nel paese. Elezioni? Quando? Nell'autunno, che si preannunziava già caldo per le scadenze sindacali? O in primavera, dopo le elezioni amministrative e le scadenze sindacali, con alle spalle UtJ periodo di governi senza maggioranza, mono_colori più o meno assembleari? O forse è possibile un governo presieduto da Rumor, col compito di portare a compimento il progran1ma concordavo a dicembre del '68, un governo appoggiato dai gruppi parlamentari che concordarono. quel programma? Allo stato attuale delle cose, all'indomani della scissione socialista, nòn siamo in grado di rispondere e di prevedere. Ma una previsione possiamo farla, sulla base di un giudizio politico: a nostro avviso, coloro i quali sperano ohe la crisi del centro-sinistra possa risolversi in una qualche svolta a sinistra, si illudono; mentre non si illudono coloro i quali sperano che la crisi del centro-sinistra possa risolversi in una soluzione di destra. Sarà, nella migliore delle ipotesi, una soluzione di destra moderata; di destra reazionaria nella peggiore. Le sinistre socialiste e le sinistre democristiane, tanto corrive a denunciare la propria insoddisfazione per il centro-sinistra, comunque lo rimpiangeranno: hanno preso sul serio la contestaziqne, i cinesi, i guerriglieri e l'Isolotto; e non hanno capito che dal maggio del '68, anche grazie alla contestazione, ai guerriglieri, ai cinesi, all'I soZotto, la situazione italiana è s.ull'onda di destra e che soltanto il centro-sinistra poteva stabilizzarla, tenerla al riparo da un'onda che ora, rotti gli argini del centro-sinistra, potrebbe investire anche le istituzioni. 5 BibliotecaGino Bianco

La politica di • piano • lll democrazia di Giorgio La Malfa 1. Il Convegno organizzato a Napoli nei giorni 21 e 22 giugno scorsi dalla corrente di Base della DC sul tema: « Dove va l'economia italiana? », ha offerto numerosi spunti interessanti ed ha aperto una discussione sui problemi dello sviluppo economico italiano che vale la pena di approfondire. La relazione dell' on. Misaisi, che è stata distribuita prima del Convegno, e che ne costituisce in un certo senso la premessa, contiene numerose osservazioni acute sulle difficoltà contro cui si scontra la politica di sviluppo del Mezzogiorno e più in generale la politica di programmazione economica del paese; e suggeri 1sce, per garantire una più rapida trasformazione del Mezzogiorno, una intensificazione degli investimenti produttivi, una più accurata scelta dei settori verso i quali tali investimenti debbono dirigersi ed infine una scelta delle tecnologie che contribuisca in primo luogo ad alleviare il problema della disoccupazione. . Questa è una posizione per così dire obbligat~ dei fautori deHo sviluppo del Mezzogiorno; ma, nella formulazione dell'on. Misasi, -che è stata sostanzialmente accolta da tutti gli oratori che si sono succeduti nel corso del Convegno, essa è stata espressa con particolare vigore ed è stata accompagnqta da alcune proposte concrete relative per esempio alla introduzione (o, ·si dovrebbe dire, reintroduzione) dell'istituto della licenza di costruzione da parte del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica per tutti i progetti di investimento che comportino una spesa non inferiore a 500 milioni di lire, o ialla fissazione di un obbligo per tutte le imprese e per tutti i settori produttivi, di effettuare nel Mezzogiorno, tranne comprovate ragioni tecniche, non solo i nuovi investimenti, ma anche gli ampliamenti e gli ammodernamenti degli impianti che richiedono una spesa non inferiO're al mezzo miliardo · di lire. Si tratta, come si vede, di indicazioni di un certo interesse, che, insieme ad altre osservazioni specifiche su vari problemi del nostro paese, dal problema della riforma fiscale a quello della struttura delle borse-valori, ad alcuni problemi attinenti al settore del ere-· 6 Biblioteca.GinoBianco

La politica di piano in democrazia dito, alla politica degli· incentivi, e così via, formulate negli interventi dei partecipanti al Convegno, hanno reso la discussione molto· interessante. · Accanto, tuttavia, a questa enunciazione di problemi e soluzioni particolari e concrete, specialmente nel can1po della politica di sviluppo del Mezzogiorno, e su cui torneremo più oltre, si deve rilevarie l'assenza sostanzialmente con1plena di una discussione sul problema della politica dei redditi, che è stato trattato solo di sfuggfra e solo in qualche intervento, senza che attorno ad esso si svolgesse una discussione organica. Vi è stato, invece, un motivo, per così dire, costante nella discussione svoltasi al Convegno; e tale motivo è stato rappresentato dalla critica del ruolo svolto .dalla politica monetaria nel nostro paese in tutto il secondo dopoguerra e dalla richiesta di affiancare a questo strumento altri strumenti di politica economica, .dal sistema fiscale alla politica commerciale internazionale, dalla politica della spesa pubb1ica al controllo diretto degli investimenti. · ·Questi due aspetti cairatteristici della tematica del Convegno, l'assenza di una discussione sulla politica dei redditi e sulla sua relazione con la programmazione economica e l'insistenza per una critica al oosidetto « predominio » della Banca d'I tali.a sulla politica economica del governo e del paese non sono, in effetti, due episodi indipendenti, ma rispondono sostanziahnente ad uno schema di interpretazione della situazione economica italiana, che, per essere condiviso da una larga parte delle forze politiche di sinistra e ·da molti economisti, merita di essere approfonditan1ente discusso. 2. È in primo luogo interessante osservare un aspetto caratteristico di questa impostazione, contraria da un lato alla politica dei redditi e dall'altro critica nei confronti della politica n1onetaria, ed è che la insoddisfazione nei confronti di quest'ultima non si rivolge alla linea di condotta seguita in questa o quella occasione daUe autorità monetarie che guidano in questi anni la banca centrale, ma investe la politica monetaria in quanto tale, cioè in quanto strumento ·di politica economica, dotato di alcune p~rticolari caratteristiche. In sostanza, l'argom,ento che si oerca .di far valere è. che' la politica monetaria, per le preoccupazioni connes,se con la staqilità dei prezzi e con l'andamento della bilancia dei pagamenti internazionali di cui le autorità monetarie sono istituzionalmente portatrici, tende necessariamente a _contenere la domanda aggregata e 7 BibliotecaGino Bianco

Giorgio La Malfa quindi a mantenere il sistema economico nel suo comp1 lesso in oondizioni di sottoccupazione. Da quesito argomento sembra discendere la conseguenza che una politica economica non fondata prevalentemente sulla politica monetaria potrebbe acceler.are il processo di assorbimento della disoccupazione in Italia. Una analisi più rigorosa naitura'lmente porta a conclusioni diverse e meno semplicistiche sulla politica economica necessaria ad avviare a soluzione nel nostro paese il problema della disoccupazione e sul ruolo della politica monetaria nello sviluppo economico. (Tra l'altro, se fosse vera la tesi che il persistere della disoccupazione è largamente da imputarsi all'uso prolungato ed esclusivo della politica monetaria, non dovrebbe essere necessario formulare e cercare di rendere operativa una politica di programmazione economica, poiché non avrebbe importanza, ai fini del riassorbimento della disoccupazione, la composizione della domanda aiggregata, ma solo il suo livello complessivo: ma su questo torneremo più oltre). Tuttavia, proprio per l'ampia diffusione di queste opinioni, che, pur se raramente formulate con chiarezza, possono essere rioonosciu te in numerose affermazioni relative a particolari problemi di politica economica, sembra opportuno cercare di ricostruire l'analisi economica che le sorregge per saggian1e la validità. Un buon punto di partenza per questa esplorazione è costituito dalla relazione presentata, nel Convegno di Napoli, dal dr. Capuani, le cui condlusioni principali sono state riprese da buona parte degli oratori intervenuti ed in particolare dall'on. Granelli che ha pronunciato un ampio discorso a conclusrione del Convegno 1 • In sostanza l'argomento di Capuani, che mette conto di riportare per esteso, è stato il seguente: secondo le stime del cosiddetto « progetto '80 », con un tasso di crescita del reddito naziona:le dell'ordine del 5-6% dovrebbe essere possibile assorbire l'offerta di lavoro dell'anno finale del progetto che, a seconda che si adotti una ipotesi più o meno ottimistica sull'andamento delle forze di lavoro, dovrebbe aggirarsi sui 21-22 milioni di persone. Tuttavia, una occupazione di 21-22 milioni nel 1980 corrisponde, date le previsioni sull'andamento della popolazione, - osserva Capuani - ad un tasso di partecipazione delle forze di lavoro del 37,5 % circa. Poiché · tale tasso di attività è più basso di quello di paesi che hanno oggi una struttura economica ed un reddito pro-capite piu o 1 Si veda, per esempio, il resoconto del Convegno su « Il Popolo » di lunedì 23 giugno 1969. 8 BibliotecaGino Bianco

La politica di piano in democrazia meno simile alla .struttura ed al reddito pro-capite cui l'I:talia perverrebbe nel 1980, è legittimo ritenere che il saggio di partecipazione previsto nel progetto '80 costituisca una sottovalutazione dell'.effettiva offerta di lavoro che si verificherà nel nostro paese. U·sando, quindi, alcune ipotesi alternative sul saggio di partecipazione al 1980, Capuani calcola la disoccupazione che si verrebbe a determinare in Italia nel 1980 se le· previsioni di occupazione del progetto '80 si realizzassero, ma si verificasse anche un saggio di partecipazione più vicino a quello di paesi con struttura simile a quella che presumibilmente raggiungeremo in quell'anno. A questo punto si pone il problema di calcolare a quale tasso dovrebbe crescere il reddito nazionale dell'Italia per assorbire tutta l'offerta di lavoro disponibi 1 le. Natur.almente questo modo di procedere nelle stime del fabbisogno di crescita del nostro sistema economico lascia molto a desiderare, soprattut,to perché è insufficiente la conoscenza attuale delle determinanti del saggio di partecipazione della forza-lavoro in Italia ed in particolare la distinzione fra deter- _minanti cicliche e determinanti di lungo periodo dell'offerta di lavorio. Tuttavia quetlo che in questa sede ci interessa è il modo nel quale il fabbisogno ·di crescita del reddito nazionale viene calcolato, poiché esso illustra molto chiaramente l'opinione che stiamo cercando di ricostruire sulla natura degli ostaoo'li al raggiungimento della piena occupazione nel nostro paese. In sostanza il procedimento che generalmente si segue consiste nell'applicare un ragionamento analogo a quello che sta alla base detla politica economica del periodo kennediano negli Stati Uniti; e· cioè, si stima ,il full employment gap (l'ammontare di .domanda aggregata che dovrebbe essere creato per assorbire la miano d''opera priva di occupazione) e si chiede che la politica monetaria consenta e accompagni una espansione del reddito di questa dimensione, rinunziando ad adottare una politica più restrittiva in base ad argomentazioni relative ai problemi della stabilità dei prezzi e delle condizioni della bilancia dei pagamenti. Quanto al primo problema, si ripete sostanzialmente una famosa opinione di Robertson secondo cui un certo grado di inflazione stimola 1a domanda da parte delle imprese,_ n-ientre, per ciò che riguarda 'la bilancia -dei pagamenti, iJ rimedio principale ahle -difficoltà che potrebbero· insorgere è indicato in una politica di prevenzione deHe fughe dei capitali, specialmente dei cosidetti capitali di rischio, attraverso controlli fiscali e incentivi agli investimenti interni. Naturalmente la politica economica dell'età kennediana non 9 BibliotecaGino. . 1anco

Giorgio La Malfa è una invenzione degli Stati Uni,ti poiché rappresenta in sostanza una riformulazione in termini aggiornati e quantitativamente misurabili deiHa politica keynesiana di sostegno deHa domanda aggregata, che diede già dei risultati molto positivi in Inghilterra nei primi anni del dopoguerra e, in certa misura, negli Stati Uniti s,tessi, nel corso del NevJ Deal. Comunque sia, essa consente di stimare concretamente .quale sia l'espansione necessaria del sistema economico per conseguire gli obiettivi di piena occupazione delle risorse. Qual'è il ruolo che spetta alla politica monetaria in questa visione keynesiana del full eniployment gap? Non è chiaro a tutt'oggi se e in quale misura la politica monetaria, intesa o come politica di controllo di tutte le variabiili monetarie, dalla quantità di moneta in ci1 rcolazione, alla struttura dei tassi dell'interesse, alle scelte di portafoglio delle banche com.inerciaH, o più restrittivamente come poilitica di controllo deHa sola offerta di moneta, possa atitivan1ente stimolare il sistema economico a raggiungere livelli più elevati di domanda aggregata e di occupazione. L'opinione prevalente fra gli economisti è che le possibilità in questo senso della politica monetaria non siano molto ampie, anche se si ·va verificando negli Stati ·uniti 2 , sotto la spinta della nuova amministrazione repubblicana e del maggior peso che nella formulazione della politica economica di questa amministrazione esercitano 1e opinioni del professor Friedman, un pericoloso ritorno di fiducia iri una stretta relazione causale tra offerta di moneta e livello del reddito, che indicherebbe la possibilità di utilizzare in ogni caso l'offerta di moneta come variabile di controllo del livello della domanda aggregata e del reddito. · Vi è d'altra parte un accordo piuttosto ampio fra gli econo1nisti sull'efficacia della politica monetaria neLle fasi in cui si ritenga necessaria una riduzione del1 la domanda aggregata o un suo minore tasso di aumento. Da ciò discende l'opinione comune suil'la impossibilità di perseguire con successo una politica di espansione della domanda e del reddito in assenza di una politica monetaria sufficientemente espansiva o « permissiva ». Infatti, se la crescita della domanda aggregata non è accompagnata da una crescita della liquidità monetaria, nel processo -di crescita del reddito tendono necessariamente a verificarsi delle strozzature. Quindi, a meno di non abbracciare una visione strettamente friedmaniana deill'in2 Si vedano i primi due articoli deUa rassegna stù sistema bancario inglese « A time of squeeze » apparsa sull' « Economist » del 21 giugno scorso. 10 BibliotecaGino Bianco

La politica di piano in de1nocrazia fluenza della politica monetaria, si deve ritenere che, in situazioni nelle quali l'ostaoolo al raggiungiimento della piena occupazione sia costituito dail'l'.insufficienza delila ·domanda aggregata, una politica monetaria sufficientemente espansiva rappresenti una condizione necessaria (ma non sufficiente in linea generale) per il raggiungimento della piena utilizzazione delle risorse. 3. L'accusa che generalmente si rivolge alle autorità 111onetarie i1 ta1iane è di avere sacrificato, per preoccupazioni connesse - con1e si è già detto - a·l1lacondizione dei prezzi interni e della bilancia dei pagamenti, H traguardo della piena occupazione, preferendo in sostanza livelli più bassi di occupazione, ma prezzi stabili e conti commerciali con l'estero favorevoli. Questa accusa assai sostanziale ·di conservatorismo rivolta a:lle autorità monetarie è generalmente accompagnata da considerazioni positive sulla qualità « tecnica » della conduzione della politica monetaria in Italia, quasi che vi sia un ,solo modo di adoperare lo strumento monetario e che la scelta consista nel decidere se usarlo, con certe conseguenze sfavorevoli sulla oocupazione, o non adoperarlo del tutto, sostituendolo con la politica fiscale o qualche altro strumento meno biased in favore di una politica restrittiva. Questa impostazione appare assai poco convincente ad un'analisi più approfondita, non solo per la ragione - di carattere negativo - che tailvoha sembra possibile riscontrare degli eccessi in un senso o nell'altro, o degli errori di impostazione nella politica delle autorità monetarie italiane 3, ma anche e soprattutto perché è errato considerare itl problema della disoccupazione e sottoccupazione in I ta'1ia come un problema di insufficienza della domanda aggregata. Si tratta infatti prevalentemente di un problema di insufficienza di capacità produttiva, cosicché la disoccupazione non può esse!ie curata con la creazione massiccia di domanda aggregata. Se ciò è vero, iii lim1 ite alla crescita dell'occupazione non è costituito dalla politica monetaria, ma semmai dalila accumulazione insuffi3 Errori che paradossalmente risalgono a dei mon1enti della politica delle autorità monetarie ita:liar1e in questi anni nei quali esse hanno più o meno consapevolmente fatta propria fu. tesi di coloro che ritengono che la disoccupazione in Italia sia sop,rattutto un problema di insufficienza della domanda aggregata. Si vedano ad esempio alcuni passi delle relazioni della Banca d'Italia per il 1962, il 1963 e il 1%4. Su questo si veda F. MODIGLIANeI G. LAMALFA, Su alcun.i aspetti della congiuntura e della politica monetaria italiana nell'ultimo quinquennio, « Moneta e Credito», Settembre 1966, n. 75. 11 ,. BibliotecaGino Bianco

Giorgio La M alfa ciente di capitale. N·aturalmente a queste condizioni di disocc.upazione strutturale si possono talvolta aggiungere elementi di insufficienza di domanda co1ne durante le recessioni del tipo di quella del 1964-65 ed in questi casi, ma solo in questi, -la politica monetaria ha un ruolo ed una responsabilità. È anzi curioso ed interessante osservare come molte dell,e difficoltà che il nostro sistema economico ha passato e che for.se si appresta a passare nel prossimo futuro siano dipese o dipendano dal fatto che il governo e le autorità monetarie sottovalutano, per così dire, il limite alla crescita del reddito e della occupazione costituito dalla capacità produttiva esistene e espandono eccessivamene (rispetto a tale potenziale) l'offerta di n1oneta e di liquidità. Su questo aspetto torneremo tra breve per sottolinea·re come, a differenza dell'opinione corrente, le insufficienze della politica monetaria in questi anni sono state dovute non alla natura della politica monetaria, ma ad una tendenza a valutare in modo non appropriato le possibilità produttive del sistema economico e le necessità di accumulazione di capitale. Partendo da questa impostazione, l'opinione che le scelte monetarie siano sempre tecnicamente perfette viene assai ridimensionata. Ma ciò è in favore di una maggior.e comprensione della condizione del paese e quindi delle politiche da adottare per accelerarne 1o sviluppo. In sostanza si potrebbe dire, per illustrare la rielazione tra insufficienza della domanda e insufficienza della capacità produttiva, che l'esistenza di una adeguata capacità produttiva è condizione necessaria perché, in presenza di sufficienti livelli di domanda aggregata, si possa realizzare la piena occupazione delle risorse. Poiché la capacità produttiva dipende dalla accumulazione di beni capitali effettuata nel sistema economico, ed è 1 la risultante, in larga misura, di decisioni passate, e solo in piccola parte - la parte costituita dagli investimenti da effettuare nel periodo di •tempo considerato e che abbiano un periodo di gestazione molto breve - di decisioni da adottarsi in un dato periodo, una espansione della domanda porta alla piena occupazione o all'inflazione a seconda che le risorse, e in particolare la capacità produttiva, siano o meno adeguate alla o:ffer.ta di lavoro. I livelli di occupazione in Italia sono dunque limitati non dalla domanda insufficiente, ma dalla capacità produttiva disponibilè. LI significato di questa affermazione è semplicemente che ai livelH attuali dei salari, data la composizione delila domanda estera ed interna e data quindi la distribuzione settoriale del capiitale, il livello della occupazione è inferiore alla forza di lavoro disponi12 BibliotecaGino Bianco

La politica di piano in democrazia bile. D'altra parte, poiché vi è da dubitare che l'elasticità della domanda -di lavoro •rispetto a,l salario sia molto alta - né del resto s,arebbe possibile ridurre se non in proporzione molto modes,ta il livello dei salari reali - è sostanzialmente necessario considerare il livello della occupazione come determinato dalle caratteristiche del patrimonio di beni capi·tali oggi esistente nel nostro sistema economico. Un aum,ento della domanda può dare luogo ad aumenti dell'offerta in termini rea.ili solo nella misura in cui esistano margini di capacità sottoutilizzata, come avviene nelle fasi recessive e come in particolare è avvenuto nel biennio 1964-1965. Il fatto che le difficoltà a rag.giungere la piena occupazione provengano dalla insufficienza della capacità produttiva, piuttosto che ·dailla mancanza .di una adeguata domanda aggregata, è ovvio speciailmente a chi guardi le condizioni deHe regioni meridionali. È però frequente r.itrovare, nelle analisi dei problemi economici del paese e soprattutto nelle discussioni su aspetti e problemi particolari, delle affermazioni che implicitamente postulano una diversa analisi di questo problema, e cioè una sos,tainzia:le convinzione che il problema italiano sia un problema di domanda aggregata. Il Convegno di Napoli, specialmente nell'intervento dell'on. Granelli 4, ha messo in luce questa opinione secondo la quale la cura della disoocupazione richiede un adeguato stimolo alla domanda più che una specifica politica di accumulazione del capi tale. E se è possibile avanzare qui un'ipotesi sul perché persistano queste due differenti analisi delle cause della sottoccupazione italiana, essa è che una parte degli osservatori ha una conoscenza molto indiretta delle effet- .tive condizioni del Mezzogiorno e della disponib1lità di capitale pro-capite nelle regioni meridionali. Del resto, se si fa -riiferimento alle condizioni delle regioni settentrionali negli anni 1966-1968, è concepibile che si abbia 1 la impressione che un aumento di domanda stimolerebbe l'offerta di beni. Questa conclusione sfortunatamente cessa di essere valida per il sistema nel suo compiesso, quando si consideri ll!Ila espansione della domanda quantitativamente rilevante e quando siano .stati riassorbiti i margini di capacità produttiva inutilizzata creata.si nella recessione ,del biennio 1964-1965. 4 Cfr. anche il resocori to del discorso stesso su « Il Popolo » dove si dice: « L'alternativa tra manovre della domanda, con le priorità della piena occupazione~ e problemi di struttura dei meccanismi produttivi è una falsa alternativa deformata dalla tradizione polemica sulla politica dei redditi. In effetti questi aspetti del processo di sviluppo si intersecano a vicenda e 'tocca al piano affrontarli in modo unitario ». 13 BibliotecaGino Bianco ··

Giorgio La Malfa 4. Una conseguenza i,mportante che discende dall'analisi delle ca.use del persistere della disoccupazione nel nostro paese riguarda la nozione di full employment gap di cui oggi si comincia a fare uso. Sul significato di questa misura quando l'insufficienza dell'occupazione dipenda da,lla domanda aggregata si è detto più sopra. Ma anche quando si atitribuisca - come sembra giusto nel caso dell'Italia - a condizioni di carattere strutturale i'insufficienza dei posti di lavoro, è pos.sibi 1le fare uso deHa nozione di full employment gap. In questo caso, tuttaviia, esso non sarà più misurato dalla elas.tioità della di1soccupazione rispetto alla domanda aggregata, così come si fa negli Stati Uniti 5, ma più semplicemente - così come si faceva ad esempio nello Schema Vanoni (anche se Ie cifre erano assai sottostimate) - moltiplicando il numero dei posti di lavoro da creare per il fabbisogno medio di capitale per operaio. Questa stima del fabbisogno di capitale per raggiungere la piena occupazione, o, come si potr.ebbe chiamare, il capacity gap per paesi con disoccupazione per così dire strutturale, inon è certamente facile a caJlcolarsi; tuttavia, esso dà una misura teoricamente corretta della distanza che ci separa dalla piena occupazione. Ma ciò che è importante rilevare è che la creazione di un potenziale produttivo capace di assorbiTe l'eccesso di manodopera esistente in un dato momento richieda, non una generica domanda di risorse, ma una accumulazione di capiitale e quindi, nella misura in cui si voglia effettuare ta1 le accumulazione ad un tasso superiore ail tasso di cresciita ,del capitale che il sistema economico spontaneamente tenderebbe a generare, richiede sic et simpliciter la rinuncia al consumo delle risorse che debbono .essere accumulate per la creazione di posti di lavoro. Mentre, quindi, nei casi in cui 1 la disoocupazione dipende daM'insufficienza della domanda complessiva, qualsiasi spesa, ,dalle spese di costruzione di beni di capitali, alle spese 5 In effetti la novità portata nella politica economica degli Stati Uniti dai consiglieri economici di Kennedy e in p1 rimo luogo da Okun (sì veda la sua memoria nei Papers and Proceedings of the American Statistica! Association del 1962), è stata di avere calcolato in modo abbastanza soddisfacente l'elastidtà del tasso di disoccupazione rispetto alla domanda aggregata. La stima è che tale elasticità è pari a circa - 1 h, il' che vuol dire che per portare il tasso di disoccupazione dal - poniamo - 6% al 5% è necessaria una espansione della domanda aggregata di circa il 3%. Ciò significa che la domanda aggregata deve espandersi piuttosto rapidamente per portare a delle riduzioni marcate nel tasso di disoccupazione. Tale modesto effetto della domanda sul tasso di disoccupazione è dovuto a tre ordini di cause: le variazioni cicliche del numero di ore lavorate da ciascun operaio, le variazioni cicliche della produttività per operaio e infine la dipendenza del tasso di partecipazione delle forza-lavoro dalla domanda di lavoro. 14 BibliotecaGino Bianco

La politica di piano in de1nocrazia .di consumo, a spese tipicamente improduttive come le spese militari, ha un effetto positivo sul Hvello della occupazione, nei casi di disoccupazione strutturale solo le spese per la costruzione di nuovi beni capitali - -le quali proprio perché tali impongono una riduzione dei consumi - offrono la possibilità di riassorbir-e la disoccupazione. Queste considerazioni possono essere riformulate in maniera più semplice, dicendo che, dato i'l Hvello del reddito, l'accumulazione. del capitale costituisce un impiego alternativo rispetto al consumo; di conseguenza, un incremento dell'uno richiede una riduzione dell'alltro. Il sistema economico lasciato a se stesso tende a generare un certo ammontare di investimenti, cioè un certo numero di nuovi posti stabili di ,lavoro, ma è assai opinabile che, se il siste:ma economico italiano fosse lasciato libero di effettuare l'accumulazione del capitale al tasso determinato spontaneamente da.il mercato, esso avrebbe la capacità di generare un sufficientemente rapido aum-ento di capacità produttiva, capace di portare il paese in un breve nÙmero di anni alla piena occupazione delle forzelavoro. Di qui la necessità ·di estrarre più risorse dal sistema economico per dedicarle all'accumulazione del capitale. Ma questa necessità, a sua volta, implica una decisione di contrarire i consumi o alm·eno di non farli aumentare, o -di farli .aumentare meno di quanto spontaneamente essi tenderebbero a crescere. Quale di queste alternative appena indicate si voglia adottare, dipende dalla velocità alla quale si pensa di ,potere e volere creare la nuova capacità produ tti va. Comunque, qualsiasi politica di accumulazione che ecceda il tasso di accumulazione del capi tale -che sarebbe spontaneamente generato dal sistema economico richiede una politica di contenimento, se non di compressione, dei consumi; e rappresenta quindi una forma di politica dei iiedditi. 5. Non è detto che un sistema economico nel quale non vi sia piena occupazione ,della mano d'opera possegga dei margini di espansione a prezzi stabili maggiori di quelli ,di ·cui -dispone un sistema economico con piena occupazione del,le forze di lavoro. Anzi, la :distinzione tra la disoccupazione che dipende dall'insufficienza della domanda e la disoocupazione di -caràttere sti;utturale passa proprio attraverso il fatto che il primo possiede non solo forza-lavoro, ma anche beni capitali parzialmente inutiilizzati, mentre il secondo ha già raggiunto, in generale, la piena occupazione del capitale fisso, o di particolati forme di capitale, quali, ad 15 BibliotecaGino Bianco •

Giorgio La Malf a esempio, i lavoratori specializzati. Ne discende la conseguenza che un'espansione dell:la domanda non produce effetti inflazionìstici, o ne ha ,di molto modesti, solo nel caso di un sistema in cui vi è · disoccupazione ciclica, cioè in cui la capacità produttiva sarebbe di per sé sufficiente a consentire la piena occupazione della forzalavoro, mentre incontra rapidamente il suo limite in fenomeni inflazionistici e nelile susseguenti difficoltà valutarie tanto nel caso di un sistema che goda già della piena occupazione, che in un sistema caratterizzato da di,soccupazione strutturale. La politica delle autorità monetarie in Italia non è stata errata alla fine del 1963, quando ,esse ritennero che, di fronte alla situazione deUa bilancia dei pagamenti ed all'alto tasso di crescita dei prezzi, fosse necessario frenare la domainda aggregata; ma piuttosto essa è stata eccessivamente espansiva nel 1961-62, quando il sistema economico cresceva e quando, nonostante i forti aumenti salariali, la Banca Centraile riteneva di dovere contribuire, come dichiarò il Governatore nella relazione del maggio 1962, a mantenere elevato in qualsiasi modo iil livello degli investimenti, giustificando questa politica con l'òpinione che esistessero nel sistema economico abbondanti margini di capacità produttiva inutilizzata. Quella decisione di mantenere più o meno inalterato il volume degli investimenti nonostante l'aumento dei salari e la forte domanda di beni di consumo ebbe nel 1962-63 gli effetti che poi imposero alle autorità monetarie una politica di contrazione monetaria 6 • È in secondo luogo possibile sostenere che la politica monetaria del biennio 1964-1965 sia stata eccessivamente severa e che abbia ·scoraggiato gli investimenti ad un punto tale da riflettersi sul loro comportamento negli anni successivi. E' su tale valutazione vi è un accordo abbastanza generale tra gli econon1isti. Vi è infine da chiedersi se non sia contenuto il pericolo di un errore simile a quello del 1961-62 in una delle poche frasi dedicate alla situazione economica italiana leggibili nelle considerazioni finali della relazione annuaile presentata dal Goverinatore della Banca d'Italia il 31 maggio scorso, laddove è scritto: « gli aumenti delle retribuzioni possono svolgere un'azione positiva per lo sviluppo sulil'economia sotto il duplice aspetto di stimolo al miglioramento dell'efficienza e di sostegno della domanda per consumi a condizione però che essi vengono contenuti entro limiti compatibili con le capacità del sistema » (pag. 364 deHe bozze di sta1npa). Ancora una volta infatti non è 6 Cfr. su questo II)unto F. MODIGLIANI e G. LA MALFA, Su alcuni aspetti della congiuntura e della politica monetaria italiana nell'ultimo quinquennio, cit. 16 BibliotecaGino Bianco

La politica di piano in democrazia · facile comprendere quale sia la ragione di incoraggiare, seppure con una frase seguita da un'altra che ne attenua la portata, una spinta all'incremento della domanda attraverso il consumo, quando sarebbe possibile e auspicabile una utilizzazione della fase di crescita . economica che sembra avere inizio in questi mesi per creare nuove strutture produttive e nuovi posti di lavoro. Da questo punto di vista è chiaro quindi che una politica di sviluppo del Mezzogiorno richiede una politica -dei redditi come garanzia del mantenimento di un flusso di risorse verso le aree meno .sviluppate -del paese e gli impieghi nel settore della accumulazione -del capitale. Non si giustifica -d'altra parte una richiesta da parte dei politici e degli economisti meridionalisti di una politica di investimenti localizzati nel Mezzogiorno se tale richiesta non si accompagna ad una altrettanto ferma richiesta di uno schema di politica dei redditi che fornisca appunto le risorse per tale programma di investiment1i. Tale richiesta, infatti, che, per le pressioni di gruppi, e per la lentezza del processo decisionale dello Stato e della Pubblica Amministrazione tende e tendera ad essere collocata in una fase posteriore all'inizio del boom, se non è accompagnata da una parallela individuazione delle risorse da sottrarre ad usi alterna ti vi, verrà sodidis.fatta .sostanzialmente in concomitanza con una fase nel,la quale tendono a manifestarsi tensioni inflazionistiche e difficoltà nella bilancia -dei pagamenti. Avverrà così quello che è avvenuto nell'Ita!lia meridionale nel corso degli anni 1961-1963: il sorgere di molteplici piccole iniziative assai fragili da un punto di vista economico, che vengono sostanzialmente spazzate via non appena la spinta alla crescita del reddito si attenua e la domanda aggregata tende a.idessere compressa sotto la pressione di condizioni monetarie e creditizie meno espansive. · Se si intende evitare questo sviluppo che porta ad uno spreco di risorse attraverso gli inevitabili costi connessi con i fenomeni cic:lici che hanno luogo nell'economia italiana, è necessario affrontare -senza equivoci il tema delle risorse per :finanziare una accumulazione rapida del capitale e quindi la relazione fra il processo di cr,escit~ dell'occupazione e .il livello dei consumi. Se questo tema non è affrontato e discusso con chiarezza,. diventa legittimo il sospetto che ,dietro le volontà espresse si celi o l'incomprensione. del meccanismo di sviluppo o, péggio, il ,desiderio di mantenere una posizione di privilegio dei già occupati e delle loro possibilità di consumo rispetto ai disoccupati ed ai sottoccupati. 17 BibliotecaGino Bianco

Giorgio La Malfa 6. Da quanto si è detto dovrebbe apparire chiaramente come i problemi del nostro paese presentino caratteri diversi da quelli dei paesi che in passato abbiano accumulato il capitale in misura sufficiente a consentire, se 1a dom,anda effettiva è mantenuta ad un livello adeguato, il pieno assorbirnento della forza-lavoro. A questa seconda categoria di paesi appartengono certamente gli Stati Uniti, il Canada e 1la maggior parte dei paesi dell'Europa nord-occidentale, inclusa l'Inghilterra. Per questi paesi il problema che si pone è quello di mantenere un tasso di crescita della domanda aggregata capace di assorbire l'aumento della forza-lavoro e di evitare che l'aumento di produttività che si genera nel sistema economico per effetto del progresso tecnologico crei disoccupazione. Poiché questi paesi hanno intensi rapporti com·merciali con l'estero è per essi necessario mantenere condizioni di competitività sul m-erca:to internazionale; e ciò richiede che i loro prezzi siano sostanzialmente stabili o quanto meno crescano in misura minore di quanto crescano i prezzi nei paesi competitori. A questo fine essi hanno bisogno di una politica dei redditi intesa come una politica che mantenga l'aumento dei redditi monetari più o meno entro i limiti di aum.ento della produttività del sistema. Mancando una politica di questo tipo, la spinta all'aumento delle retribuzioni tende a provocare tensioni inflazionistiche che a loro volta si riflettono in un peggioram1ento delila bilancia dei pagamenti del paese. Si osservi in ogni caso che questa politica dei redditi non richiede certamente il blocco dei salar.i, ma solo il loro contenimento entro i limiti di aumento della produttività del lavoro. Del resto aumenti ~alariali di minori dimensioni creerebbero delle difficoltà al mantenimento di un adeguato livello di domanda e cioè difficoltà altrettanto gravi, anche se diverse, di quelle che sorgono per effetto di una crescita eccessiva delle retribuzioni. Per uno di quesd paesi sviluppati, l'Inghilterra, si pone un problema speciale su cui vale la pena di so:fferma:rsi. In Inghilterra, per ragioni troppo complesse da descrivere qui 7 , il tasso di cre-- scita della produttività del lavoro .è troppo basso rispetto alle richieste di aumento delle condizioni di vita della e-lasse operaia; cosicché vi è per quel paese, come conseguenza di questo squilibrio tra le richieste salariali e le possibilità effettive del sistema econo- · 7 Si veda, per una analisi molto lucida della natura dei problemi economici inglesi, lo scritto di N. KALDOR, Economie Growth an.d the Problem of Inflation, part I and II, « Economica», new series, vol. XXVI, 1959. 18 Biblioteca.GinoBianco

• La politica di piano in democrazia · mico, una tendenza graduale alla perdita ·di•competitività internazionale, tendenza che impone periodicamente l'adozione di poli, tiche intese a ristabilire l'equilibrio dei conti commer,ciali con. l'estero. Tali politiche hanno a -loro volta la conseguenza di rendere ulteriormente insoddisfaoenti le condizioni del reddito pro-capite (quantomeno per effetto del.la caduta dell'occupazione). In Inghilterra è stata avanzata, più o meno nello stesso periodo in cui essa è stata formulata in Italia, una proposta di politica dei redditi. Tuttavia bisogna distinguere molto accuratamente la diversa accezione che ha avuto la politica dei redditi nel passaggio dal governo conservatore al governo laburista del signor Wilson. La prima richiesta di politica dei redditi, avanzata dai conservatori, era una richiesta simile a quella che, come si è detto, è necessaria in tutti i paesi ·sviluppati; e lo strumento con cui il governo conservatore si prefisse di attuarla fu una · commissione consultiva sui redditi, la National Income Commission, cui le proposte di contratti collettivi dovevano essere sottoposte per valutare se esse eccedessero o meno gli aumenti di produttivrtà del sistema o del settore. Quel primo tentativo fallì perché si scontrò con il problema costituito dal contrasto fra i livelli di reddi;to reale pro-capite possibili per la Gran B·retaigna in condizioni -di sostanziale equilibrio della bilancia dei pagamenti e il reddito reale richiesto dalle organizzazioni sindacali per conto dei lavora tori. Con l'avv:ento del governo laburista, la strategia tentata fu diversa: il governo non ·si propose di mantenere gli aumenti di sàlari e di reddito entro i limiti angusti degli aumenti di produttività che si sono realizzati in questo secondo dopoguerra in Gran Bretagna, bensì di modificare la stiruttura produttiva del paese aumentando lo stock di capitale a disposizione di ciascun occupato. Così facendo, il governo laburista puntava a .due risultati, uno certo e l'altro solo sperato. Il risultato certo è che una maggiore dotazione. di capi tale pro-- capite consente - a parità di tassi di crescita del sistema economico - più alti livelli di consumo pro-capite 8 , e questo ,dovrebbe di per sé rendere più facilmente aocettabili, essendo il nuovo punto di partenza piu elevato, aumenti di reddito pro-capitè annui contenuti entro i limiti di aumento della produttività. 8 Fino ad un massimo che si verifica quando lo. stock di capitale pro-capite è taJ.e da dar luogo a un tasso di profitto non superiore a:l tasso di crescita del reddito. Ma questo è un aspetto di cui possiamo non tenere conto. 19 BibliotecaGino Bianco

Giorgio La Malfa Il secondo risultato non certo, ma probabile 9 , è che,. nello sforzo ,di accumulare il capitale ad un ritmo più intenso, si sarebbe .potuto generare un maggiore dinamismo industriale nel sistema economico inglese e questo a sua volta avrebbe consentito un aum·ento del ritmo del progresso tecnologico e quindi una possibilità di fare aumentare piu rapidamente i redditi reali pro-capite. In ogni caso, questo sforzo di accumulazione straordinaria di capitale e di rammodernamento della struttura produttiva inglese richiede una fase nella quale certe risorse, precedentemente destinate ai consumi o all'aumento dei consumi, vengano utilizzate per l'espansione del capitale e degli investimenti. Ed anche per questa politica è necessario uno sforzo ,di con troll o sulla formazione e sulla destinazione del reddito, cui è appropriato dare il nome di politica dei redditi. Naturalmente, da ciò appare chiaro come il problema dell'Italia sia analogo a quello dell'Inghilterra, anche se l'obiettivo è diverso nei due casi: in quello dell'Inghilterra trattandosi di un rafforzamento ,deUa struttura produttiva di piena occupazione, nel nostro trattandosi del raggiungimento di un potenziale produttivo capace di consentire l'assorbimento completo delle forze di lavoro. La politica dei redditi ha dunque due significati e può essere intesa in due accezioni diverse. Essa è da un lato una politica per la stabilità monetaria- e quindi essenzialmente una politica di prevenzione ,delle difficoltà della bilancia ,dei pagamenti: come tale, essa è lo strumento alternativo rispetto alla politica monetaria, di cui sovente si discute, in quanto essa consente di prevenire il sorgere di tensioni inflazionistiche laddove la politica monetaria non può prevenirle se non a patto di mantenere il sistema in uno stato di sottoccupazione della capacità produttiva del tipo di quella avutasi nel quadriennio 1964-67. Per inciso, sii può osservare qui che la politica fiscale non è uno strumento migliore della politica monetaria dal punto di vista che ci interessa; essa cioè non può prevenire, più di quanto non faccia la politica monetaria, l'insorgere di tensioni inflazionistiche e di certe difficoltà per la bilancia dei pagam-enti. A suo favore vale solo il fatto che, forse 10 , essa nella fase in cui viene usata per diminuire la domanda globale colpisce o può 9 Per una giustificazione di questo punto di vista si veda, oltre lo scritto già citato di KALDOR, alcuni altri scritti dello stes,so autore contenuti nel volurn.e: Saggi sulla stabilità economica e lo sviluppo, Torino, Einaudi, 1965. 10 Si veda tuttavia per una diversa opinione A. GRAZIANI, Tre obiettivi e tre cannoni, « Nord e Sud», n. 129 agosto 1965, pag. 17. 20 BibliotecaGino Bianco

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