Antonino Di Giorgio l'anno, trattamento che, rispetto, alle condizioni del paese in generale e a quelle dell'impiego pubblico in particolare, è di tutto riguardo. Non è poi vero che le professioni e gli impieghi offrano al laureato in legge, pur valoroso, prospettive molto più seducenti; quanto alle prime, avvocatura e notariato, esse comportano uri periodo di attesa e una trafila iniziale molto più lunghi dei pur lunghi tre anni che De Federico calcola occorrere al giovane che abbraccia la magistratura; nell'avvocatura inoltre i livelli soddisfacenti di remunerazione sono at- . tinti da una bassa percentuale di professionisti, i quali, per attingerli, debbono possedere una grande e rara concentrazione di eminenti virtù o di svariate abiliità o di entrambe insieme. Quanto all'impiego privato, è noto che es,so offre ai dottori in giurisprudenza ben poche possibilità di lavoro, e anzi nel Mezzogiorno (dal quale, come De Federico dimostra, proviene il 70% dei magistrati) nessuna o quasi. « Lungi dal compiere una seconda scelta, l'amministrazione della giustizia compie, invece, una scelta privilegiata » dice De Federi~o e lo dimostra con l'esporre queste cifre: in sei concorsi, il 70% dei vincitorri si era laureato con votazione superiore a 100 e di questi ben il 45% con la votazione massima di 110 o 110 con lode. Il raffronto tra l'alta votazione di laurea e la bassa votazione di concorso dimostra invece in maniera la1npante, come l'autore r.ileva, la incapacità, che ben si può chiamare vergognosa, della nostra università a fornire, neppure agli studenti migliorri è neppure quando questi dopo la. laurea continuano a studiare seriamente, una preparazione sufficiente a superare non :riisicatamente il concorso di uditore. È difficile documentare in maniera più chiara ed inquietante il fallimento della nostra scuola superiore. Ma :p.on è questa l'unica indicazione di carattere generale che si può trarre dalla lettura del libro. L'aHra, pure allarmante, è che, col sistema di reclutamento minuziosamente ed efficacemente descritto da Di Federico, « manca assolutamente la garanzia che la scelta cada sugli elerr1enti più adatti », dice Martinoli. In definitiva la società non può tenersi paga del modo col quale lo Stato assume e tiene in servizio i suoi giudici; la riforma della gius.tizia, sempre pit1 urgente, dovrà farsi carico anche di questo problema. ANTONINO DI GIORGIO 74 BibliotecaGino Bianco
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