Nord e Sud - anno XVI - n. 114 - giugno 1969

Argomenti deve infatti dire che la nostra giustizia funziona male sempre, non soltanto laddove sus1 siste un conflitto, aperto o latente, tra la Costituzione e la legge ordinaria; non ci si deve stancare di chiedere l'attuazione della Costituzione, ma tale invocazione non deve diventare uno strumento d'evasione né un pretesto per l'attesa, non deve consentire di eludere gli altri aspetti più quotidiani e politicamente indifferenti della disfunzione giudiziaria. Sotto il secondo profilo è evidente che il rinnovamento strumentale potrà, com'è giusto, eliminare i materiali disagi in mezzo ai quali lavorano oggi gli operatori del diritto, ma neppure sfiora il cuore della cri 1 si, la quale consiste, se vogliamo tentarne la definizione, nell'assoluta mancanza. d'identità tra l'idea di giustizia vivente nella nazione e il suo attuarsi auraverso ìl nostro sistema legislativo, giudiziario ed amministrativo; ovvero, da un punto di vista non politico ma funzionale, nell'accertata inettitudine della organizzazione giudiziaria nel suo complesso ad assolvere in maniera soddisfacente i suoi compiti sostanziali. Questa incapacità di ~onoscere sé stessa, di ,studiarsi e di capirsi, è essa stessa la prova di quanto vetusta e compassata ·sia la nostra struttura giudiziaria. La categoria degli operatori del diritto, per il tipo degli studi compiuti (il liceo classico e l'astratta, cruschevole facoltà di gh~.ri 1 sprudenza), per la estrazione sociale (la picoola borghesia dei centri minori), per la provenienza regionale (il vecchio Sud), continua ad essere umanista ed individualista ad oltranza, nemica della organizzazione e della specializzazione. Gli uo1nini di l,egge non sono moderni, non sono moderne le loro gerarchie gerontocratiche né le loro ideologie dominanti, e ciò capita anche perché le giovani leve dei magistrati e degli avvocati s'immettono alla spicciolata, senza mai poter far massa, in comunità professionali massicciamente preesistenti, già costituite in corporazioni immobili ed autosufficienti, nelle quali più che in altre professioni vige, in parte per ragioni obiettive, il culto dell'esperienza e della canizie. Isola.ti, impacciati, bisognosi di aiuto (avendoli l'università sfornati all'oscuro di tutto), i « giovani col·leghi » debbono accettare la prassi che trovano, la quale rapidan1ente li assimila, ne mortifica ogni eventuale volontà rinnovatrice, e li avvia, mediante l'affinamento della cultura giudidica e del tecnicismo processuale, alla scalata della carriera o della cHentela. Anche perciò, forse, « c'è un divorzio tra giustizia e cultura, tra giuristi e società », come scrive il giudice Chiavelli; anche perciò, forse, gli avvocati « non sono portatori., in forma collettiva ed unitaria, di concezioni o dottrine d'importanza generale, non costituiscono un gruppo di punta o almeno particolarmente rappresentativo in fatto di idee ini;iovatrici », come scnve l'av69 B_ibliotecaGino Bianco

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