Nord e Sud - anno XVI - n. 114 - giugno 1969

, NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Ernesto Mazzetti, Università, regioni, città - Luigi Mendia, L'industria e l'ambiente - Antonino Di ·Giorgio, Giustizia sotto inchiesta - Antonio Duva, I partiti a Battipaglia - Francesco Compagna, Una strategia per Napoli e scritti di Vincenzo Baldoni, Ermanno Corsi, Sara Esposito, Francesco Farina, Gaetano GrecoN accarato, Carmela Lauretano, Ugo Leone, Emi- . lio Nazzaro, Antonio Pellicani, Lanfranco Senn. ANNO XVI - NUOVA SERIE - GIUGNO 1969 - N. 114 (175) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI BibliotecaGino Bianco

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.. , NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XVI - GIUGNO 1969 - N. 114 (175) DIREZIONE E REDAZIONE: Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.347 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Carducci, 29 - 80121Napoli - Telef. 393-346-393.309 Una copia L. 400 - Estero L. 700 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Fascicolo arretrato L. 800.- Annata arretrata L. 8.000 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via Carducci 29, Napoli BibliotecaGino Bianco

SOMMARIO Ernesto Mazzetti Luigi Mendja Ermanno Corsi Vincenzo Baldoni Francesco Farina Ugo Leone Editoriale [3] · Università, regioni, città [7] L'industria e l'ambiente [32] Note della Redazione Sinistra calante, destra crescente - La riforma rallentata - Antimeridionalismo di sinistra [ 40] Giornale a più voci Mansholt a Bari [ 47] Il problema dei « Sassi » [52] L'elettronica trainante [56] Incentivi e disincentivi [ 63] Argomenti Antonino Di Giorgio Giustizia sotto inchiesta [ 68] Lanfranco Senn · Gli « esperti» e la programmazione [75] Emilio Nazzaro La fiscalizzazione degli oneri sociali [ 83] Inchieste Antonio Duva I partiti a Battipaglia · [96] Opinioni e dissensi G. Greco-Naccarato Dopo Sibari [105] Antonio Pellicani Carmela Lauretano Sara Esposito Recensioni Il. sistema prefettizio [ 109] Le pene del crescere [112] Una regione condannata [115] Documenti Francesco Compagna Una strategia per Napoli [119]- BibliotecaGino Bianco

.. Editoriale La netta ripresa degli investimenti industriali crea n.ùove occasioni per il Mezzogiorno, occasioni che cominciano a delinearsi concretamente in alcuni episodi degni di rilievo, primi risultati tangibili della cosiddetta contrattazione programmata. Tra questi episodi, il più degno di rilievo è certamente quello che dovrebbe avere oome protagonista la Fiat (finalmente!): secondo un comunicato del più grande complesso manifatturiero del settore privato, « la Fiat ha deciso di impiegare nei prossinii tre anni il 60% dei suoi investimenti totali nel Mezzogiorno». Pare che si tratti di circa 180 miliardi: di un grande "'stabilimento dove sarebbero montate 300.000 automobili all'anno (ma non come a Termini lmerese, perché soltanto i motori ed i pezzi stampati arriverebbero da Torino e tutto il resto sarebbe fabbricato nel Mezzogiorno), onde la possibilità di un discorso unitario con l'IRI per l'industria accessoristica, sia in funzione della domanda provocata dall'Alfa-Sud, sia in funzion.e della domanda provocata dallo stabilimento della Fiat; ed un altro accordo con l'IRI, già ben avviato, riguarderebbe la costruzione di un aereo di linea sempre nel Mezzogiorno, dove, del resto, ci sono le tnigliori condizioni per la Localizzazione dell'industria aeron_autica (condizion.i di spazio e soprattutto di clima, per i voli di collaudo) e c'è già, in Campania, uno dei più significativi poli della nostra industria aeronautica. Anche la Fiat, dunque, scende nel Sud. Si tenga presente che finora il fatto che la Fiat, perduta dietro il suo mito della Detroit italiana, n.on avesse voluto recare un rilevante contributo all'industrializzazione del Mezzogiorno, era da molti altri gruppi industriali interpretato come un alibi o addirittura come la dimostrazione che chi la sa più lunga, come appunto la Fiat, si guarda bene dal rischiare iniziative nel Mezzogiorno. In questo senso, anche, era indispensabile che la contrattazione programmata impegnasse prima di tutti la Fiat a scendere nel Mezzogiorno. Ed è probabile che la contrattazione programmata abbia questa volt.a trovato nella Fiat un interlocutore ben disposto: perché ci sono state ìe polemiche sull'immigrazione a Torino, provocata dagli investin1enti della Fiat in un'area congestionata;. perché ci sono state queste 3 BibliotecaGino Bianco

Editoriale polemiche che hanno dimostrato come la Fiat non potesse più sfuggire ormai ai quesiti che da tempo i meridionalisti avevano posto a proposito dei suoi comportamenti; perché si erano configurati i problemi cui abbiamo accennato nelle note della redazione nel numero di maggio (i Comuni che chiedono alla Fiat di partecipare alle spese di urbanizzazione derivanti dall'afflusso di immigrati e la «girata» allo Stato di queste richieste, da parte della Fiat, onde se questa deve partecipare alle spese di urbanizzazione si tratta di veri e propri disincentivi di fatto e se lo Stato accetta la girata della Fiat si tratta di veri e propri incentivi di fatto, a favore di Torino e dintorni); perché, come riferisce Eugenio Scalf ari sull' « Espresso », Agnelli ed il suo staff sono « venuti a Roma cercando di ottenere dal governo gli aiuti necessari per attrezzare Torino di nuove infrastrutture, tali da poter accogliere nel 1969 altri 50 o 60.000 immigrati, e ne sono ripartiti con. la convinzione che Torino e la monocultura automobilistica rischiavano di trasformarsi in una trappola per la Fiat, dopo essere stati per mezzo secolo il suo piedistallo »; perché, questa volta, « gli uomini di governo, socialisti o democristiani, spaventati da Battipaglia e dai cento altri piccoli e grossi vulcani che possono esplodere da un momento .all'altro nel Sud, erano stati fermissimi: se Torino vuole continuare ad espandersi (cioè se la Fiat vuole continuare a crescere a Torino), si paghi da sola l'espansione, lo Stato non darà niente ». Si deve ora ritenere che lo Stato darà qualcosa per le spese di urbanizzazione a Torino e dintorni, che lo Stato accetterà almeno in pàrte la girata di cui dicevamo, e questo perché la Fiat si è finalmente decisa ad impegnarsi nel Mezzogiorno? Può darsi. Comunque sia, quello che a noi ora interessa non riguarda tanto i termini del do ut des tra la Fiat e gli organi della programmazione dal punto di vista delle spese di urbanizzazione derivanti a Torino e dintorni dalle im1nigrazioni che a loro volta derivano dalla insistenza della Fiat di Valletta nel ritenere che tutto si dovesse fare a Torino; a noi interessa ora che gli investimenti preannunciati dalla Fiat nel Mezzogiorno non risultino investhnenti « di compiacenza», che abbiano tempi rapidi (ben più rapidi dell'investimento « di compiacenza» per Termini Imerese), che costituiscano veramente una svolta nella politica aziendale· della Fiat (e di conseguenza . abbiamo effetti, per così dire, imitativi sui comportamenti di altri gruppi privati, grandi e medi); e ci interessa altresì che questo primo risultato della contrattazione programmata (insie1ne con quello onde la Olivett( ha deciso di ampliare lo stabilimento di Pozzuoli e di creare uno stabilimento nuovo nel Casertano) sia tale da far sì che il tutto non abbia a risolversi, come giustamente teme l'on. Moro, in una corretta 4 BibliotecaGmo Bianco

.. Editoriale prassi di pubbliche relazioni tra il governo ed i gruppi industriali, ma sia tale da consentire alla contrattazione programmata di configurarsi quanto meno come corretta metodologia di coordinamento tra i programmi di intervento dei pubblici poteri ed i progetti di investimento dei gruppi industriali. A noi sembra che oggi la situazione si presenti ricca di nuove occasioni per il Mezzogiorno e che queste occasioni debbano essere colte, e possano essere colte, grazie ai progressi che ci sono stati per quanto riguarda la preindustrializzazione del Mezzogiorno (infrastrutture primarie ed industrie di base) e grazie alla ripresa degli investimenti che sembra oggi più marcata di quanto non lo sia mai stata dopo la fine del periodo intitolato al cosiddetto « miracolo ». Il fatto che la stessa Fiat sia oggi propensa a rivedere il suo tradizionale atteggiamento, negati1;0 nei confronti degli investimenti nel Mezzogiorno, è molto significativo: perché non significa che la Fiat è diventata meridionalista, ma, ovviamente, che le condizioni sono maturate perché la Fiat debba uscire dal suo assenteismo, sia costretta per convenienza, economica e politica, ad uscirne. Ma noi sappiamo, d'altra parte, che, per portare avanti una politica meridionalista capace di cogliere e di esaltare le occasioni che oggi si presentano, devono ricorrere due condizioni fondamentali: 1) la stabilità del governo; 2) l'unità d'intenti tra i partiti della maggioranza. L'una e l'altra sono oggi in pericolo perché la crisi della unificazione socialista, qualora si risolvesse in una scissione, provocherebbe una lunga crisi e forse il ricorso alle elezioni politiche in conseguenza della rottura, in un punto difficilmente riparabile, di quella che è la sola maggioranza oggi riconoscibile nel Parlamen.to e nel paese. Le ripercussioni sulla politica meridionalista sarebbero gravissime; e ne potrebbero risultare compromesse la programmazione e le riforme, anche perché il ricorso alle elezioni, perdurando la crisi del centro-sinistra come conseguenza immediata della scissione socialista, potrebbe risolversi in un ritorno all'immobilismo mediante un 18 aprile centrista. D'altra parte, la recente discussione alla Camera sull'accelerazione dei tempi e sulla revisione dei ,nodi della politica meridionalista ha dimostrato che in questo camp(! della sfera d'azione del governo si è trovata una vera e propria unità d'intenti fra i partiti della maggioranza. Tanto più gravi sarebbero, quindi, le responsabilità di quei socialisti meridionali, di questa o di quella corrente, i quali, pur sapendo quanto costosa sarebbe per il Mezzogiorno una scissione del PSI, tale scissione volessero ad ogni costo contribuire a provocare, in base a considerazioni di mero tornaconto elettorale o anche in base a conside5 BibliotecaGino Bianco

Editoriale razioni di strategia politica che non tengono conto, però, del_laesigenza di non far pregiudizievoli interruzioni o rallentamenti alla politica meridionalista. Si sono posti questo aspetto del problema quei socialisti che recentemente, in un convegno indetto a Salerno, hanno più o meno esplicitamente manifestato bellicose intenzioni di addivenire ad una scissione? ~ 6 BibliotecaGino Bianco

... . . ' . . . ' ·un1vers1ta, r.e.g1on1-c,1tta ~ I . di Ernesto Mazzetti ' \ 1. C'è un punto debole nel disegno di legge di riforma universitaria presentato a metà -aprile in Parlamento dal mini-stiro-Ferrari Aggradi: -e su questo punto debole· non si sono soffermati, ci sembra, neppure coloro che tale testo governativo hanno sotto-- posto alla più attenta -disamina appunto allo scopo di porne in evidenza gli 1 aspetti più discutibili. I1lche è spiegabile, dal momento che l'attenzione di buona parte, se non di tutti, gli « addetti ai lavori» della vita universitaria è da tempo polarizzata intorno alle • _questioni che concernono la posizione del personale _,docente e, in via -subordinata, intorno a quelle riguardanti ordinamenti e strutture degli atenei, dipartimenti e facoltà. Non che si voglia negare l'importanza enorme che a tali questioni va riconosciuta; ma ci sembra necessario che, a dibattito universitario aperto - infuocatamente aperto - vengano fatti valere anche altri argomenti di fondo -concernenti il ruolo che l'univer,sità deve .assumere nella vita del paese e, per conseguenza, che un'attenzione non minore vènga dedicata alle manchevolezze che il testo della riforma presenta· appunto rigua:rido al rapporto tra università e vita del paese. L'elemento di debolezza che a noi pare di rinvenire nel disegno di legge e sul quale non è stata portata finora adeguata attenzione riguarda 1a definizione -delle dimensioni ottimali delle _sedi universitarie e la distribuzione delle sedi sul territorio nazionale. In proposito vi è solo - nell'articolo 26 del disegno di legge, inserito sotto ìl titolo III, dedicato :agli studenti-, l'accenno aHa utilizzazione di mezzi finanziari (,quelli del piano quinquennale universitario menzionato nell'articolo 34) « per l'ammodernamen(b dei complessi universi.tari esistenti e per la costruzione -dei nuovi, in maniera che siano fornirli di strutture atte ad agevolare là vita universita- · ria » . . È idecisam:ente poco, di fronte alile es1gènze sempr~ più avvertite di dimensionare gli atenei secondo cFiteri che consentano 'loro di operare con maggiore efficienza e, soprattutto, di fronte alla ne7 ,.. BibliotecaGino Bianco

Ernesto Mazzetti cessità di pervenire finalmente ad una ripartizione territoriale dei centri d'istruzione superiore più consona non solo alla distribuzione geografica della popolazione universitaria effettiva e potenziale, ma anche alle esigenze di progresso economico e civile al cui soddisfacimento l'università - come attrezzatura del settore « quaternario » - può contribuire 1 • Va detto, a parziale attenuazione del rilievo circa le lacune del testo di riforma in materia di distribuzione territoriale e dimensionamento delle sedi universitarie, che questi aspetti coinvolgono tale massa di problemi che volerili affrontare iin un disegno di legge già di notevole impegno e già tanto travagliato, avrebbe comportato ulteriori ritardi nell'avvio della riforma universitaria: ritaridi non tollerabili dalla ormai drammatica situazione di deterioramento in cui è finita l'università italiana e dalle implicazioni politiche di questo deterioramento. Tuttavia, il fatto che non si sia pensato di dilatare il testo di riforma fino ad investire anche i problemi cui ci riferiamo, non deve certo implicare che questi ultimi problemi restino accantona ti. Al contrario, la discussione su un •disegno di legge per tanti versi innovatorie e risanatore di una realtà universitaria putrescente, è un'occasione quanto mai utile per trattare anche dei criteri da seguire nella istituzione di nuove sedi universitarie in . vista del miglior dimensionamento degli atenei e de.Ha loro più equilibrata distribuzione geografica, e per trattarne in modo che acquistino una risonanza adeguata, non più limitata a cerchie ristrette. Il testo della nuova legge universitaria si apre con queste parole: « Le università hanno il compito di e,laborare e trasmettere criticamente la cultura superiore, promuovere il progresso della scienza attraverso la ricerca e fornire l'istruzione necessaria per l'esercizio degli uffici e delle professioni ». È una sintesi abbastanza completa ed efficace degli scopi del sistema universitario; per conseguire tali scopi occorre predisporre mezzi umani e materiali da impiegare secondo criteri razionali e produttivi. I temi sui quali richiamiamo l'attenzione investono appunto sia la predisposizione dei mezzi chE?i criteri del loro impiego. 2. Alla tavola rotonda sul Mezzogiorno tenuta a Bari il primo marzo scorso, il prof. Pasquale Saraceno, nella sua densa relazione 1 Si vedano i precedenti articoli che abbiamo dedicato a questi problemi: Università e squilibri regionali in « Nord e Sud», n. 50 (111) febbraio 1964, e Il decentramento dell'università in « Nord e Sud» n. 78 (139) giugno 1966. 8 BibliotecaGino Bianco ·

Università, regioni, città introduttiva 2, tra le molte considerazioni stimolanti, ne dedicò alcune anche al rapporto che intercorre tra sviluppo del MezzogioTno e università. Rilevato che il problema universitario è divenuto oggi UI]O dei problemi più importanti che il paese ha di fronte, Saraceno sottolineò che, come per tutti i grandi problemi nazionali, gli indirizzi che si seguiranno saranno gravidi di conseguenze per il Mezzogiorno. C'è infatti, anche nel settore universitario, un marcato squilibrio tra Nord e Sud. E non è difficile misurarlo, né in termini quantitativi, cioè in base al rapporto tra numero degli atenei e popolazione universitaria, né in termini qualitativi (che poi sono anche quantitativi): attrezzature scientifiche, alloggi per stude.nti, mense, aree verdi, personale docente e così via. Anzitutto i dati sulla popolazione universitaria. Nel 1966, second.o le rilevazioni dell'ISTAT, gli studenti in corso e fuori corso erano 162 mi11 1 a nel Nor,d, 108 m1ila nel Centro e 154 mila nel Mezzogior,no (di cui 96 mila nel Mezzogiorno continentale e 58 mila nelle Isole). Nel Nord, alla stessa data, erano in atti,vità 11 atenei e 3 facoltà autonome; nel Centro 8 atenei e una facoltà autonoma; nel Mezzogiorno 8 atenei e· 5 facoltà autonome. Non essendo sostanzialmente variato, dal 1966 ad oggi, il panorama offerto da questi dati, possiamo servir,ci di essi per ,approfondire un po' meglio il confronto tra le diverse aree del paese. Vediamo subito che la distribuzione degli allievi tra le sedi universitarie del Nord appare abbastanza equilibrata. I maggiori addensamenti di popolazione studentesca si hanno a Milano ( 44.700 unità, ma tale popolazione si ripartisce tra quattro sedi: Università statale, Cattolica, Politecnico e Bocconi). Altre sedi popolose sono Torino, Padova, Bo.. logna, con oltre 20 mila allievi; ma anche qui si è lontani dall'affollamento patologico che troviamo scendendo a Sud. Tutte le altre sedi del Nord, salvo Genova che ha 15 mila allievi, sono al di sotto dei 10 mila studenti. Nell'ItaHa Centrale c'è il bubbone romano con i suoi 56 mila · studenti (che dal 1966 ad oggi hanno anche superato quota 60 mila): ma Firenze e Pisa sonq sui 15 mila e la terza università tQscana, Siena, ne ha solo tremila; tutte le altre sedi - quelle marchigiane e Perugia -, sono sotto i diecimila. : 2 PASQUALE SARACENO, Obiettivi della politica di sviluppo del Mezzogiorno alla vigilia del secondo piano quinquennale, relazione introduttiva alla Tavola Rotonda organizzata dalla Fiera del Levante di Bari l'l e 2 marzo 1969. In particolare, si vedano i paragrafi 7 e 8. · 9 - BibliotecaGino Bianco

Ernesto Mazzetti Dove invece si incontrano situazioni davvero patologiche è nel Mezzogiorno continentale: qui gli atenei sono soltanto due, Napoli con 52 mila allievi (che nel 1970 saranno più di 60 mila) e Bari con 30 mila. Salerno (il cui Magistero già ·supera per effettivi di popolazione studentesca talune sedi del Centro e del Nord articolate su più facoltà), L'Aquila, T'.eramo, Pescara, Chieti e Lecce sono facoltà autonome e assorbono un numero di iscritti oscillante tra i 600 e i 5.000. Quel ch'è ancora più grave è che il Mezzogiorno continentale è la sola area geografi.ca del paese dove, aUa patologica concentra- - zione di popolazione universitaria -in alcune sedi, fa riscontro la totale assenza di sedi universitarie in alcune regioni. La Calabria (2 milioni 100 mila abitanti) è priva d'università, e così pure la Lucania (700 mila abitanti) e il Molise (350 mila). È vero che anche la VaUe d'Aosta non ha univ,ersità e ohe, più ancora che della Valle d'Aosta (100 mila abitanti) ci sarebbe da tener conto dell'Alto Adi,ge, anche al fine - politico - di trattenere al di qua del Brennero gli studenti di lingua tedesca che oggi vanno a studiare in Austria. Ma rispetto alle condizioni di debolezza che il sistema universitario presenta nel Mezzogiorno, nesiSuno potrà negare che questi problemi delle zone montane del Nord abbiano minor grado di priorità. A questi primi dati possiamo aggiungerne alcuni aàtri, non meno significativi. Per l'incremento tumultuoso e patologico (nella misura, appunto, in cui è con11esso all'inesistenza di sedi universitarie nelle altre regioni) della popolazione studentesca di Napoli e Bari, il rapporto tra studenti e docenti si deteriora gravemente. Secondo i calcoli di Gino Martinoli 3, nel 1955 nell'università di Napoli vi era un ·docente ogni 58 studenti e in quella di Bari un dooente ogni 33 studenti (media del Centro Nord: uno a 26). Nel 1964, il rapporto è divenuto di uno a 63 a Napoli e di uno a 55 a Bari, contro la media di uno a 33 nel Centro-Nord. Nell'ambito delle strutture edilizie, sebbene gli spazi che le diverse sedi universitarie pongono a disposizione degli allievi siano in Italia quasi dovunque insufficienti, nelle sedi meridionali si 3 GINO MARTINOLI, L'università come impresa, Firenze 1967. Per una ricognizione statistica sul numero degli allievi, dei laureati e dei docenti delle università italiane si veda anche, di CELSO DE STEFANIS, Sistema universitario meridionale nel quadro della crisi dell'Università italiana, in « Critica meridionale» anno III, nn. 2-3, febmar., 1969. 10 BibliotecaGino Bianco

Università, regioni, città scende a livelli del tutto intollerabili. Ogni allievo delle università italiane dispone in media di uno spazio di 50 metri cubi: in una recente inchiesta giornalistica sull'edilizia scolastica italiana 4, questa media è stata definita non a torto « indecente ». Ma Napoli e Bari riescono a varcare ampiamente la soglia dell'indecenza, dal momento che dispongono per ogni allievo di soli 42 mc. e 30 mc. rispettivamente; Salerno, poi, scende addirittura a 2 metri cubi e m,ezzo per studente. È chiaro che queste sono sedi universitarie che basano la loro sopravvivenza sul principio della « non frequenza» degli allievi; neanche in piedi, infatti, gli studenti troverebbero posto nelle aule, nell'ipotesi si recassero tutti alle lezioni. Non è difficile scorgere anche il risvolto sociologico di queste situazioni di patologico affollamento 5. Nella misura in cui - per ragioni anche fisiche, com'è nel caso delle sedi congestionate e quindi fatalmente disorganizzate - l'università manca alla sua funzione di porsi come comunità di vita scientifica e civile, essa contribuisce a rafforzare la deleteria concezione dell'istruzione superiore come burocratica e forzata routine verso l'acquisizione di quel pezzo di carta essenziale per acquisire uno status borghese e aspirare a un qualsivoglia impiego; e, parimenti, contribuisce alla formazione di una psicologia .da declassati e da sbandati. E poiché è nel Mezzogiorno che le carenze strutturali e organizzative dell'università appaiono più marcate, si può comprendere quali guasti ne derivano, sia ·sotto il profilo di minor gettito di laureati, sia sotto il profilo di formazione alla rovescia della classe dirigente. 3. I problemi di decongestione e decentramento delle sedi uni-· versitarie, visti anche oome condizioni per correggere gli squilibri regionali che o,stacolano l'ordinato sviluppo del paese, sono stati in talune occasioni presi in considerazione a livello di esperti e a livello politico. La Commissione Ermini, nel rapporto presentato ne] 1963 al ministro della Pubblica Istruzione, riconobbe « carat• tere prioritario alla fondazione di istituti universitari nelle regioni 4 AMEDEO LANUCARA, Per l'università occorrono aree dieci volte superiori alle attuali, ne « Il Globo» del 29 marzo 1969. In metri quadrati, lo spazio medio per studente è, nelle università ital.iane, di 10 mq. mentre si ritiene che la media ottimale non dovrebbe scendere sotto i cento mq. Piani di sviJuppo universitario elaborati nella Germania Federale prevedono 150 mq. per studente; Madrid dispone di 250 mq., Liegi di 577, altre sedi, specie quelle americane e quelle create nei paesi di recente indipendenza, offrono medie anche superiori. s Lo sottolineavamo in particolare ne Il decentramento dell'università, cit. pp. 24-25. 11 BibliotecaGino Bianco

Ernesto Mazzetti che ne sono prive, avendo l'avvertenza, ìn quanto possibile,· di costituire un unico centro universitario é di non sparpagliare le diverse facoltà cui si ritenga di dar vita, in altrettanti centri »; ed auspicò anche l:a creazione di nuovi centri universitari accanto a quelli esistenti « in alcune sedi con sviluppo :abnorme della popolazione studentesca » 6 • Queste considerazioni furono tenute presenti in parte nel Piano di sviluppo deUa souola presentato nel settembre 1964 dal ministro Gui 7 • Tuttavia, lungi dal costituire un organico programma di redistribuzione delle sedi universitarie, il Piano Gui rappresentava, a questo ri,gu:ar,do, una accettazione piuttosto acritica di rich~este formulate da varie università (per quanto concerneva 1'i1 stituzione di nuove facoltà) e da enti locali (rper quanto riguardava la fondazione di faco:ltà « distaccate» in pa:-ovinceprive di sedi di istruzione superiore). Va, infatti, sottolineato che - proprio per la carenza di impegno dei poteri centrali verso una organica politica di equilibrata distribuzione delle sedi universitarie - ai problemi derivanti dall'assenza ,di sedi d'istruzione superiore in talune regioni e molte province (soprattutto meridionali) hanno tentato di dare soluzioni parziali gli enti locali interessati. Si è assistito così, negli ultimi di1eci anni, ad una fioritura delle cosiddette facoltà autonome, alcune create con criteri apprezzabili e organizzate su basi di serietà, altre purt•roppo nate con criteri di cui il meno che si possa dire è che si basano su una visione terribilmente statica ·delila realtà meridionale: la realtà degli impieghi pubblici e delle libere professioni umanistiche, piuttosto che la realtà dello sviluppo industiriale 8 • Quando addi 1 rittura, queste cosiddette facoltà autonome non derivano da iniziative elettor-aliistiche (com.e la recente fìacoltà ,di sociologia « termale» istituita ne1le terme di Castellammare di Stabia). Il piano Gui, da cui doveva sortire quella legge 2314 deca~ 6 Relazione della commissione d'indagine sullo stato e lo sviluppo della pubblica istruzione in Italia, presentata il 24 luglio 1963 al Ministro della P.I.. Il brano è tratto dal cap. XI intitolato « Distribuzione geografica delle istituzioni universitarie nella prospettiva dello sviluppo economico sociale». 7 Li!'lee direttiv_e del piano di sviluppo pluriennale della scuola per il periodo s1:1-~cessi_voal 30_giu_gno 1965. In particolare, qui d riferiamo al cap. IV, « Univers1ta e ncerca scientifica», della parte I, pagg. 55--62 e al par. della parte II dedicato alla « Spesa per l'università e la ricerca scientifica universitaria», pagg. 151-157. 8 Per una più dettagliata disamina critica delle indicazioni del piano Gui in materia di distribuzione delle sedi rimandiamo a Il decentramento ecc. cit., da cui sono tratte alcune delle considerazioni contenute in questo paragrafo. 12 BibliotecaGino Bianco

Università, regioni, città duta con l'ultima legislatura 9, non solo non rompeva con la logica delle iniziative episodiche e scoordinate, e quindi veniva meno alle esigenze di riequilibrio geografico dell'università, ma aveva anche un altro torto, grave agli occhi di chi, giustamente, partiva da una visione meridionalistica del problema universitario e tale problema considerava anche come un aspetto del problema dello sviluppo deHe regioni meno favorite. Lungi dall'avviare una politica di riequilibrio geografico, le linee direttive ministeriali, per quanto concerneva la distribuzione delle sedi, prevedevano un accrescimento dell'università che ricalcava -le tendenze delle varie regioni. Onde, iJ Centro.,Nord, già abbastanza ben dotato di sedi di i'Struzione sup.erio1:e e, comunque, certamente meglio dotato del Sud, avrebbe visto aggiungersi altre venti faool.tà a quelle esistenti; mentre solo sei nuove facoltà sarebbero state istituite nel Mezzogiorno continentale, comprendendo tra esse le quattro facoltà della istituenda (,da anni purtroppo istituenda, ma non ancora istituita) università calabrese, così da perpetuare non solo l'inferiorità numerica dell'università meridionale, ma anche la sua inferiorità qualitativa, connessa alla disorganizzazione da sovraffollamento di Napoli e Bari. In più, le impostazioni ministeriali del 1965, accettando supinamente il criterio di creare « altre » università con le stesse caratteristiche di quelle esistenti, e .mal distribuite territorialmente, così come venivano meno all'esigenza di modificare le strutture universitarie perché assumessero un ruolo significativo nella crescita economica e civile di tutta la società italiana, del pari ponevano le premesse per una dispersione delle risorse finanziarie disponibili. A questo proposito val la pena di soffermarsi su quanto afferma l'ultimo rapporto del Censis al Cnel sulla situazione sociale del paese 10 • Nel capitolo dedicato all'istruzione, nel mentre si rileva che la spesa pubblica per l'istruzione superiore ha toccato nel 1967 la quota di 392.000 lire per studente, onde ,1'indice, fatto eguale a cento nel 1960, è salito a 117 e mezzo, si pone con molta chiarezza 1 'esigenza di razionalizzare tale spesa, ancora lontana dalI' optimum di produttività. A nostro avviso, l'esigenza di razionalizzazione della spesa pubblica per l'istruzione superiore, che .il Censis 9 « Nord e Sud » si è occupata della Legge Gui anche negli articoli di G. STATmA, La riforma dorotea, n. 61 (122) gen. 1965, e E. MAzzETII, La questione universitaria, n. 64 (125) aprile 1965. 10 Centro studi investimenti sociali (Censis) Rapporto sulla situazione sociale del paese, pubblicato a cura del Cnel, _Roma 1969. In- part., cfr. pagg,. 88 e segg. 13 ,,. BibliotecaGino Bianco

Ernesto Mazzetti fa opportunamente valere, non può non comprendere anche la migliore distribuzione territoriale di tale spesa, e quindi la. creazione di nuove sedi nel Mezzogiorno e i,l ,riidimensionamento delle sedi ipertrofiche. Certamente, i1 l oriterio con cui va affrontato questo problema non può essere quello della proliferazione di richieste campanilistiche per nuove facoltà più o meno :autonome. Le rnolte pretese di cam~ panile potrebbero anche portare a una fioritura -di facoltà in città che non hanno sedi universitarie e che meriterebbero di averne: sterile fioritura, tuttavia, qualora non inquadrata e disciplinata in programmi razionali di sviluppo ,dell'istruzione superiore. Perché è evidente che facoltà autonome improvvisate nessun prestigio potrebbero conferire ai titoli rilasciati, onde difficilmente i giovani si risol,verebbero ad affluirvi abbandonando le sedi affolla te ma di più consoMdato prestigio. E pertanto ben 'limitata risulterebbe la capacità riequilibratrice di siffatte facoltà, e nullo il loro contributo ad una migliore qualificazione dell'istruzione superiore e dell'ambiene umano in cui s'inseriscono. Ne deriva che ·per politica di decentramento non può intendersi la gemmazione di facoltà autonome, di tipo tradizionale, fondate in obbedienza a pretese di campanile. Non è però neppure accettabile la tesi radicalmente opposta, secondo la quale sarebbe . più conveniente potenziare le sedi esistenti, specie se t~le potenziamento viene inteso, come ci sembra sia generalmente inteso, come ampliamento delle strutture edilizie e non già come riorganizzazione didattica. Una tesi siffatta in prim.o .luogo pietrificherebbe una situazione universitaria insoddisfacente c;lalpunto di vista geografico. Inoltre non consentirebbe affatto delle economie di scala. In un rapporto per il Consiglio d'Europa preparato nel 1963, il prof. Umberto Toschi osservava che anche a proposito della creazione di nuove università vale la legge economica in base alla quale la concentrazione consente dei risparmi di agglomerazione solo fino a un certo limite, al di là del quale ogni ulteriore accrescimento risulta antieconomico, per cui la curva dei costi comincia a scendere solo attraverso la deglomerazione 11 • 11 UMBERTO TOSCHI, Considérations et motif s entrant en jeu lors de la création de nouvelles Universités (ou institutions équivalentes) en Europe, Conseil d'Europe, Conférence sur les nouvelles Universités, nov. 1963, pag. 8. Questo rapporto è richiamato anche ne Il decentramento ecc. e Università e squilibri ecc. già citati. Per un esempio di tesi favorevole al potenzian1ento delle sedi esistenti in alternativa a quella del decentramento, si vedano le « Critiche e proposte dell'UNURI al piano Gui » pubblicate nel volume 1964-1965Un anno per la riforma universitaria, Roma 14 BibliotecaGino Bianco

.. Università, regioni, città Nel momento in cui l'università ha cessato di essere un fatto elitario, e quindi il reclutamento dei nuovi iscritti da parte delle sedi esi1stenti è ,dhrenuto rieclutamento di massa, automaticamente è caduta la visione dell'università come una istituzione che, per l'alto grado di qualificazione, per il carattere universale della ricerca scientifica, non ha un ambito d'influenza geografica delimitabile, o quanto meno, ha raggio -d'influenza nazionale . . Da una vis.ione siffatta scaturiva la non indispensabilità di una equidistriibuzione regionale del,le sedi universitarie, specie se, mediante congrui aiuti, ,gli studenti venivano posti in grado di recarsi a studiare dove meglio credessero. Oggi tale visione è non solo anacronistica, ma anche e11ronea. Già in passato, infatti, a ben guardare, si doveva am-m-ettere che solo pochissime sedi erano in grado di reclutare i propri allievi in un ambito nazionale: quelle poche sedi, cioè, non necessariamente ubicate nelle grandi città, che potevano contare sul peso .di grandi tradizioni, su docenti prestigiosi, sulla ricchezza delle attrezzature. Così come si doveva ammettere che la maggioranza degli atenei aveva un ambito di reclutamento regionale, o limitatamente interregionale, indipendentemente dal1' essere grandi o piccoli atenei. Oggi i legami funzionali tra sedi universitarie e hinterland più o meno immediato sono stati esaltati dal fatto che l'istruzione superiore ha perso o va perdendo le caratiteristiche di privilegio di censo e di classe per divenire sempre più fatto di massa. Onde le ragioni geografiche (oltre quelle econon1iche, connesse ai costi di congestione) che sono alla base dell'esigenza di redistribuzione regionale delle sedi, .divengono ragioni predon1.inanti. E tutto ciò senza voler tenere conto di priorità e di opzioni stabilite dalla politica di piano; le quali, trasferite nell'ambito universitario, ci portano appunto a ribadire, nel caso del Mezzogiorno, che l'esigenza prioritaria da soddisfare è quella di conservare alle regioni di origine, purché possano avvalersene nel quadro ed ai fini del proprio sviluppo, i giovani universitari. I compilatori del rapporto del Censis al Cnel citato prima, rilevando che gli ultimi anni sono stati contraddistinti da profondi processi di mobilità e avanzamento sociale, sottolineano però che « seppur i meccanismi collettivi di promozione sociale hanno 1965, pag. 92. In questo documento, alla lodevole intenzione di opporsi al proliferare di facoltà autonome, non fa riscontro un adeguato approfondimento del problema della più razionale distribuzione geografica delle ·sedi. 15 Bi'bliotecaGino Bianco

Ernesto Mazzetti agito, ia loro azione tuttavia non ha ancora toccato ainpie -quote di popolazione che, invece, almeno per induzione e a causa dell' effetto dimostrativo, avvertono spinte crescenti all'avanzamento individuale ». « Tra l'altro - continua il rapporto del Censis - malgrado l'elevato tasso di aumento della scolarità, gli studi superiori sono ancora quasi proibiti per i ragazzi di determinati strati sociali » 12 • Le struttuTe scolastiche ·sono diventate, è vero, la maggior voce di spesa del bilancio statale: ma senza alcuna contemporanea « presa di responsabilità economica; non solo nel valutare e far fruttare le spese di istruzione come investiniento, ma addirittura nel gestire funzionalmente la quota di ricchezza che la collettività destina ad esse ». E ancora: « allo sviluppo quantitativo del sistema scolastico non si è accompagnato un contemporaneo processo di innovazione del sistema stesso » 13 • A noi sembra che queste considerazioni del Cens.is siano valide giustificazioni ,al nostro assunto. La « presa di responsabilità economica» che ,deve caratterizzare il ragguardevole impegno pubblico nei confronti delle strutture scolastiche, per essere davvero « responsabile» va tradotta anche in una presa -di responsabilità geografica e quindi in una presa di responsabilità meridionalista. È il caso di tornare, a questo punto, aHa relazione del prof. Saraceno al convegno di Bari. Perché sono importanti, nel disc9rso sulla distribuzione geografi.ca dell'istruzione superiore in Italia, le tesi che Saraceno ha esposto a Bari? Saraceno ha ribadito in quell'occasione che il problema di fondo della società italiana è l'eliminazione del divario tra Nord e Sud, il conseguJmento di uno stato di piena occupazione nelle regioni meridionali oggi afflitte da perduranti aspetti di sottosviluppo. La via principale per conseguire questi obiettivi è il rafforzamento delle strutture industriali del Mezzogiorno. Fintantoché l'area meridionale presenterà una minore forza attriattiva nei confronti ,degli investimenti industrial1i, connessa a una deficienza di infrastrutture, occorreranno misure di incentivazione degli investimenti che compensino tale deficienza. « Verifica della deficienza di infrastrutture e della necessità di incentivi - citiamo sempre da Saraceno - sono quindi due mo-· menti di un solo processo di formazione di una politica di sviluppo » 14 • Al riguardo Saraceno avverte che, in fatto ,di infrastrut16 12 Rapporto del Censis al Cnel, cit. pagg. 17-18. 13 Rapporto Censis, cit. pagg. 61-64. 14 P. SARACENO, relazione cit., pag. 35; BibliotecaGino Bianco·

Università, regioni, città ture, è probabile che una deficienza tipica delle aree sottosviluppate - cioè l'insuflicienna di qualificazione tecnica del fattore umano - si riveli molto più grave che in passato e ciò a causa dell'intensità del processo tecnologico. Oggi, infatti, la scienza è sempre più inserita in un gran numero di manifestazioni produttive. Il problema tecnologico che si pone nel Mezzogiorno non è dunque soltanto quello di localizzare ,delle produzioni ohe si definiscono ad alto contenuto di tecnologia: il problema è di promuovere in tutta l'area, ·e non in poche isole, ,H processo di formazione del fattore umano e delle altre condizioni necessarie per il nuovo tipo d'industria che viene ,delineandosi. Ci troviamo cioè di fronte al1' esi.genza ,di innalzare il livello generale di qualificazione di tutte le forze di lavoro meridionali, per .far loro raggiungere una produtt1ività vicina a quella prevalente nel resto del paese. Altrimenti l'ampia disponibilità di lavoro non qualificato servirà sempre meno a neut·ralizzare gli svantaggi derivanti dalla carenza di quadri tecnici e direttivi, ,di efficienti strutture di ricerca e servizi. È sulla base .di queste analisi che Saraceno sostiene che requisiti essenziali per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno sono adeguate infrastrutture di ricerca e disponibilità di quadri 1 aziendali di livello idoneo. L'università meridionale attualmente non è in grado •di soddisfare tali requisiti: le sedi universitarie sono poche, e pochi i corsi di laurea più rispondenti alle esigenze dello sviluppo industriale; deficienti le attrezzature, nulli o quasi i so-- stegni esterni all'attività ,di ricerca. Senza contare il quadro socioeconomico che rende le sedi meridionali meno ambite dai docenti, onde t,ali sedi sono punti di passaggio, più che punti di concentriazione, per il personale docenti ai più alti livelli. Ed ecco dunque la conclusione di Saraceno, già accennata prima: l'adozione di misure di ca·riattere uniforme per· tutto il territorio nazionale, che non tengano conto ,della partiicolare situazione in ,oui si trovano 'le .regioni meridionali, darebbe luogo ad un aumento del divario certamente esistente anche in questo campo. Occorre perciò dare una dimensione meridionalistica anche alla politica universitaria perché - date le connessioni tra politica di sviluppo e qualificazione del fattore umano - esiste una via universitaria per la promozione economica delle regioni deboli del nostro paese. 4. Una dimensione meridionalistica alla politica universitaria, dunque, da realizzare anche attraverso interventi straordinari, af17 Bi•bliotecaGino Bianco

Ernesto Mazzetti finché una migliore e più equa distribuzione delle s.edi d'istruzione superiore contribuisca anch'essa ad una migliore e più equilibrata distribuzione dell'industrializzazione, e anche dell'urbanizzazione, 1sul territorio nazionale. A questo punto .dobbi1 amo cercare di intravedere quali possibili criteri (e, possibilmente, nel quadro di quale strategia urbanistica), si ,debbono adottare per conseguire il rafforzamento delle strutture universi tari e meridionali. Dei lumi possiamo ricavalìli dalle esperienze francesi in materia di creazione -di nuove sedi universitarie e rimodellamento di quelle esistenti. Anche in Francia come in Italia, e in Francia più ohe iin Italia, si è avuta una crescita rapida, tumultuosa della popolazione universitaria: nel 1969 gli iscritti alle università francesi sono divenuti 600 mila, quanti -oioè se ne prevedeva potessero essere solo nel 1972. E anche in Francia esistono problemi di più equilibrata distribuzione deU'industrializzazione e dell'urbanizzazione - •quei problemi che il Gravier sintetizzava anni fa nell'efficace formula di « Parigi e il deserto francese » - che hanno, o comunque avevano; una proiezione anche nel settore universitario, dal momento che negli anni cinquanta metà della popolazione universitaria era concentrata a Parigi, mentre la quota restante si suddivideva tra quindici sedi. I pianificatori francesi, così come hanno impostat_o i problemi del decentramento urbano, attraverso la politica delle « metropoli d'equilibrio», egualmente hanno impostato un problema di decentramento dell'istruzione superiore. È vero che in quest'ultimo settore gli interventi non sembra siano stati guidati da una dottrina sistematica, affidati, come sono stati, soprattutto a iniziative dei rettori e dei poteri .locali. Tuttavia, tali interventi hanno prodotto degli effetti significativi in termini di -decentramento universitario, dal momento che la conoentrazione di popolazione studentesca a Parigi è scesa -dal 50% dell'inizio degli anni 50, al 34% registrato nel 1960 e scenderà, nel 1970, al 31 %. E ciò che è importante, ai fini del nostro discorso, è che - come rileva Serge Vassal negli « Annales de géographie » - la -creazione di nuove università viene usata nel quadro dei!J' aménagement du territoire, cioè nel quadro· del rimodella-mento e riequilibrio del -sis.tema urbano del paese 15 • I -criteri seguiti nella creazione di nuovi -complessi universitari 15 SERGE VASSAL, Les nouveaux ensembles universitaires français, negli « Annales de Géographie », n. 426 mars-avril 1969. · 18 BibliotecaGino Bianco

Università, regioni, città ·in Francia sono stati diversi. Il Vassal, nel saggio citato, ne fa una puntuale disamina. In prevalenza si è preferito dar vita a dei campus, siti a1la periferia :dei centri urbani (Besançon, Poitiers, Digione, Bordeaux-Talence). Tuttavia, queste realizzazioni, pur offrendo una considerevole serie di vantaggi, presentano anche dei notevoli inconvenienti 16 • I vantaggi sono la concentrazione degli strumenti di lavoro, la possibilità di integrazioni stimolanti tra insegnamento e ricerca e tra le diverse facoltà, la possibilità di ingrandimenti progressivi (dato che i campus dispongono, in .genere, ,di rilevanti estensioni di suolo), la disponibilità di verde, silenzio, attrezzature sportive, la possibilità di ricercare soluzioni architettoniche originali. Inol tre 1 modellando i nuovi complessi universi tari come campus periferici, si determina un .alleggerimento dei centri urbani, sui quali non viene fatta più gravare la funzione universitaria, e si va incontro a spese minori, dato il minor costo dei suoli in zone di periferia, specie se poco o nulla urbanizzate. Svantaggi dei centri universitari concepiti come campus sono però l'isolamento, le difficoltà di comunicazioni con i centri urbani, il rischio che la sede d'i1struzione superiore aSisuma l'aspetto di un ghetto - funzionale, verdeggiante, moderno, ma al margine della vita reale-, un certo disadattamento sociologico dello studente, ripiegato su se stesso, a contatto solo di coetanei e, per conseguenza, una sua più difficile presa di coscienza di responsabilità. Le esperienze finora compiute hanno portato in Francia a considerare la necessità di una stretta relazione tra campus e vita urbana, e non solo neU'interes.se del campus, ma nell'interesse della città nei confronti della quale l'università deve esercitare la sua azione diretta, culturale, e indiretta, di promozione delle attività economiche. La pianificazione urbanistica può offrire delle vie di soluzione: attraverso l'organizzazione di un quartiere periferico universitario in cui la costruzione degli edifici universitari e di quelli residenziali sia contemporanea (così si è cercato di fare a Rouen e Strasburgo); o addirittura attraverso la creazione di una vera e propria « città nuova », gemella di una contigua città preesistente, caratterizzata in modo predominante dalla funzione universitaria (è la via intrapresa a Orléans-La Source, che dovrebbe ,divenire la Oxford francese). E c'è, infine, un terzo criterio, valido in particolare laddove esiste una preesistente concentrazione di popolazione 16 Cfr. F'RÉDÉRIC GAUSSEN, L'Université hors les murs, ne « Le Monde» del 29 aprile 1966, richiamato anche nel nostro Il decentramento· ecc. cit. 19 BibliotecaGino Bianco

Ernesto Mazzetti universitaria: il criterio di convertire un tessuto urbano ricco di tradizione - ad esempio i centri storici, ma non necessariamente un centro storico (a Parigi, il vecchio rione delle Halles aux Vins è stato ristrutturato per ospitare la facoltà di scienze) - in complesso universitario non residenziale. Anche se, lògicarriente, queste operazioni di ristrutturazione urbana in funzione della decongestione di sedi universitarie ipertrofiche non escludono che l'ipertrofia venga combattuta anche a mezzo della creazione di nuove università nella banlieue vicina (sempre attenendoci al caso parigino, a Nanterre e Orsay) o nella regione circostante (A.miens, e la stessa già citata Orléans-La Sou:rce). 5. Dalle recenti esperienze francesi per quanto concerne la creazione di nuove università in funzione di una più equilibrata distribuzione -delle sedi d'istruzione superiore sul territorio nazionale, poSisiamo 1 ricavar,e anzitutto questo, che c'è una stretta coTrelazione tra politioa urbani,stica, a scala nazionale e a scala regionale> e attività universitaria. Per poJitica urbanistica, è forse il caso -di sottolinearlo, noi qui intendiamo soprattutto politica di equiilibrio metropolitano: una politica, cioè, che affronti il problemc;l centrale della organizzazione e valorizzazione del territorio, di una strategia a lungo termine di questa organizzazione e valorizzazione. È il problema èhe si è posto Francesco Compagna ne La politica della città, quando ha cercato di costruire una ipotesi di sviluppo equilibrato del sistema urbano italiano in base ai dati forniti da una « ricognizione » sulla geografia urbana europea e dall'esame di esperien'ze di politica del territorio compiutesi· altrove 17 • Il sistema urbano italiano, alla debolezza che gli deriva dal dualismo tra Nord e Sud risohia di dover sommare il declassamento e le anomalie che gli -deriverebbero da uno sviluppo patologico delle conurbazioni settentrionali e deU'agglomerazione romana. A differenza, però, -della Fr.anciia, che deve curare i mali dello squilibrio tra Parigi e. il resto dell'ar.matura urbana nazionale, divenuti da tempo gravissimi, in Italia esiste piuttosto un problema di cura preventiva. I,l punto di attacco di questa terapia di equilibrio metropolitano del sistema urbano italiano è il Mezzogiorno, secondo la tesi che Compagna ha avanzato ne La politica della città. Il 17 FRANCF.Sco CoMPAGNA, La politica délla città, Bari, 1967. In particolare, parte III. 20 BibliotecaGino Bianco

Università, regioni, città , ·problema meridionale oggi si pone anche in- termini di debolezza delle armatur,e urbane, di inferiorità -dei valori metropolitani, onde « se una volta si poteva dire che l'inferiorità del Mezzogiorno era la conseguenza della mancanza di materie prime, oggi dobbiamo constatare che l'inferiorità del Mezzogiorno è l'inferiorità delle città del Mezzogiorno, che magari attirano qualche stabilimento industriale di più, ma perdono materia grigia » 18 ; per,dono cioè il cosiddetto « fattore umano» ad alto e medio grado di qualificazione, e non attirano più giovani qualificabili e da qualificar,e, la cui presenza è indispensabile ai fini dello sviluppo economico. Questa inferi ori tà urbana del Mezzogiorno dipende dal fatto che le funzioni di decisione, di informazione, di conoscenza ed i servizi rari - quelle oioè in cui si compendiano i valori metropolitani 19 - ,si concentrano prevalentemente nelle« due capitali» italiane, Milano e Roma. Il rimedio a tali fenomeni, nei quali è insito il pericolo di un ulteriore aggravamento della questione meridionale, della definitiva sconfitta del Mezzogiorno, si ravvisa ovviamente « in una azione bilanciata dei pubblici poteri » che - in una visione generale dei problemi dell'assetto territoriale del paese - ponga in atto dei sistemi -di « cont,rospinte » alle tendenze che squilibrano ulteriormente la distribuzione dell'urbanizzazione e dell'industrializzazione sul territorio. Si possono ipotizzare degli schemi per una azione bilanciata dei pubbJici poteri che abbia questi obiettivi; e Compagna ha formulato alcune proposte in proposito, imperniate sul potenziamento dell'asse Roma-Napoli (con i relativi sfioccamenti e diramazioni) come asse di equilibrio a livello nazionale; sull'asse pugliese e su quello della Sicilia orientale come assi di equilibrio a livello meridionale 20 • Questo schema presuppone interventi che consentano ad alcune grandi città di ·qualificarsi come metropoli re .. gionali, - capaci di valorizzare e t11attenere in loco le riserve .di « materia grigia » delle rispettive regioni - e, contemporaneamente, interventi che consentano a città secondarie di inserirsi con una loro sipecifica funzione (industriale, com-mer.ciale) nei sistemi urbani 18 F. COMPAGNA, La politica ecc. cit., pag. 184. 19 Per una definizione dei valori metropolitani e un inquadramento dei problemi della pianificazione territoriale dal punto di vista della « geografia attiva» si vedano, · in particolare JEAN FRANçOis GRAVIER, L'aménagement du territoire et l'avenir des régions françaises, Paris 1964, e JEAN WASSE, L'organisation de l'espace, Paris 1966. 20 F. COMPAGNA, La politica ecc. cit., parte III, ·cap. IV. 21 ,. BibliotecaGino Bianco

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