.. Girolamo Cotroneo « controcultura» si articola su due piani: uno, diremmo, culturale, o comunque razionale e sotto un certo aspetto degno di attenzione, ed uno emotivo, irriflesso, conseguenza forse del primo, ma che viziato da una profonda impotenza costruttiva si rifugia nella prassi, nell'azione fine a se stessa, sostituendo, e citiamo ancora Matteucci, la « volontà creatrice » co,n la « furia distruggitrice ». Ma, a questo punto una riflessione è d'obbligo: che cos'è, in effetto, la cultura « ufficiale», quella che (lib,ri <lei « professori » a parte, naturalmente) si insegna largamente nelle scuole, nelle Università? Normalmente noi intendiamo p·er cultura (divagazioni antropologiche st1l tema a parte) ciò che è rimasto della produzione mentale del passato, ciò che costituisce il fondamento su cui poggiano il nostro sapere, le nostre convinzioni, la nostra storia presente. Per questo noi leggiamo e studiamo ancora i « classici» che rappresentano ciò che di vivo, di attuale, esiste ancora in opere separate da noi dallo spazio di secoli, mentre abbiamo abbandonato alla « critica roditrice dei topi » come diceva Marx, un'infinità di opere di mediocri epigoni di un pensiero originale. Ora, è proprio questo ciò che viene rifiutato, ciò che viene sprezzantemente indicato come cultura delle classi dominanti: ma, se riflettiamo un attimo proprio sulla storia di questa cultura, no11 sarà difficile ren·derci conto che quei testi che noi chiamiamo classici e che ancor oggi si leggono nelle nostre scuole hanno rappresentato nella loro epoca non già la cultura ufficiale, bensì proprio la « controcultura » di quell'epoca, sono state cioè le opere che si contrapponevano alla cultura dominante, strascico di pensieri che avevano avuto un giorno la loro validità, sono sorte da un rifiuto della scuole e dell'insegnamento di quell'epoca. Basterà per tutti un esempio certamente notissimo, che riportiamo testalmente da un'opera che si considera come il p·unto di partenza della cultura moderna: « Io sono stato istruito nelle lettere sin dalla fanciullezza; e poiché mi si era fatto credere che con lo studio avrei acquistato una conoscenza chiara e sicura di tutto ciò che è utile alla vita, avevo un grandissimo desiderio di imparare. Ma appena terminato quel corso di studi, dopo il quale si è di solito annoverati fra i dotti, mutai interamente opinione: poiché mi trovai in1 tricato in tanti dub,bi ed errori, che mi sembrava di non aver cavato altro profitto cercando di istruirmi se non questo: di avere scoperto sempre più la mia ignoranza. Eppure mi trovavo in una delle più celebri scuole d'Europa, dove dovevo ritenere che, se in qualche luogo del mondo esistevano uomini dotti, erano lì ».· Questo brano, come ognuno si sarà accorto, è tratto dal Discorso sul metodo di Cartesio; e se è vero che quest'opera costituisce il manifesto programmatico della ·filosofia e di tutta la cultura moderna, sarà altrettanto vero che ques,t'ultima è nata da un « no », da una contestazione, da un rifiuto. E tutto ciò che di culturalmente vali.do ha il nostro passato (ed il nostro presente) nasce sempre da una negazione: chi ricorda, se non qualche raro erudito, i non1i dei dotti teologi del Rinascimento? ma chi non ricorda il nome di Giordano Bruno? E del Settecento francese sono i nomi di Voltaire, di Rousseau, di Co11dorcet che risuonano nelle aule scolastiche e non quelli definitivamente sepolti dei rappresentanti ufficiali della cultura 70 Bibiiotecaginobianco
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