I Giornale a più voci cultura (ovviamente con le debite eccezioni) accademizzata ed inconsistente al massimo grado, mentre, dall'altra, ci troviamo di fronte, come dice ancora Matteucci, « alla velleitaria presunzione di eliminare tutto il passato, col quale ci si rifiuta persino di fare i conti in sede critica». La situazione culturale in cui versa il nostro paese, e di cui la crisi dell'Università non è che un riflesso, è quindi estremamente confusa e complessa: ma non è di questa che intendiamo occuparci in particolare, anche se ciò che diremo è strettamente connesso e scaturisce direttamente da questo problema, quanto invece di quel concetto di cultura « ufficiale » o « dominante » col quale viene oggi indicata, come prima dicevamo, tutta la nostra cultura e più ancora la cultura in generale, vista come strumento di potere, come imposizione dall'alto di modelli appartenenti alle classi dominanti. Questa rivolta co·ntro la cultura e le conseguenti invocazioni di un'« anticultura » o di una << controcultura», non ha soltanto quel carattere emotivo, quel senso di generica insoddisfazione (che pur esiste) contro quanto oggi in Italia offrono i « professori», dal momento che essa si dirige contro ogni forma di cultura, contro tutta indiscriminatamente la produzione di pensiero che sta dietro le nostre spalle: ed a no·stro avviso, pur nel suo irrazionalistico manifestarsi, questa rivolta ha un sottofondo paradossalmente culturale, nel senso che essa trova la sua radice più profonda, anche se spesso inconsapevole, in quel movimento di pensiero della nostra epoca, che ha soppiantato o pretende di soppiantare lo storicismo e che genericamente indichiamo col nome di strutturalismo. Quest'ultimo infatti, nei suoi più noti rappresentanti, da Braudel a Lévi-Strauss, da Foucault a Dupront, contesta tutta la nostra tradizione culturale opponendo ad essa o, con Lévi-Strauss, esperienze estranee alla nostra storia non solo culturale, ma anche sociale e politica, o, con Foucault, una linea di sviluppo della cultura occidentale che no,n è quel]a « ufficiale » da Cartesio a Kant, da Hegel a l\llarx, bensì una 1inea che andrebbe da Aldrovandi a Ricardo, da Cuvier a Bopp. Naturalmente, sarebbe non solo superficiale ed ingiusto, ma addirittura assurdo, attribuire ad una corrente di pensiero, improntata inoltre a grande serietà e rigore di ricerca e che ha indubbiamente, pur nella sua distorsione dei fini, portato rilevanti contributi alla conoscenza della nostra tradizione culturale, sarebbe assurdo, dicevamo, attribuire ad essa il merito, o meglio ancora il demerito di avere provocato quella irrazionale rivolta contro· la cultura « ufficiale » che caratterizza i giorni che andiamo vivendo. Ma è comunque certo che il diffondersi di alcuni inten·dimenti culturali, i quali malamente rimasticati finiscono sulla bocca o sulla punta delle penne di alcuni dilettanti che riecheggiano tesi di cui hanno poco capito (ammesso che mai le abbiano veramente lette) il significato e la portata, favorisce, certo inconsapevolmente, quelle tendenze all'anarchismo culturale, il quale forse ·per « inopia ·della mente» per dirla con Vico, dei suoi teorizzatori e sostenitori rigetta sprezzantemente e irrazionalmente ciò che con ogni probabilità non sarebbe neppure in grado di digerire. Il rifiuto. quindi della cultura « ufficiale » e la sua sostituzione con una 69 Bibiiotecaginobianco
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