Anton10 Palern10 rivavano di gran carriera, come se fuggissero un incendio. Alcuni veicoli erano stipati di gente. Nella confusione s'in,travedevano per un attin10 fanciulle vestite in costume da bagno, e non si sa come discinte, i capelli arricciati al vento dei finestrini, ubriache di fuga, e il conduttore çome un animale alla sferza. Si mescolavano, gli odori della strada, dell'asfalto, dei campi, dei cosmetici, del fieno ... » (p. 43). Ciascuno a suo modo, tutt'e tre fuggono questa realtà. Ma la vicenda del « signor Rinaldo », nonostante l'emblematica « voluttà spietata degli antiquari » che gli viene assegnata, non fa -storia; né quella di sua moglie, indolenzita vincitrice della promozione sociale; e così via, per tutti gli altri personaggi, chi più chi meno, meri supporti della caduta di Susanna, l'unica, appunto, che offra ad Alvaro qualcosa che valga la pena di decifrare, in cui il « perché » conti quanito il « come», l'unica dunque che sia in grado di sopportare un ruolo primario, non angustamente narrativo. Sia chiaro, non per meriti eccezionali (rappresentatività, ecc.) bensì, a conti fatti, per la sua elementare, trasparente coscienzç1 femminile. Che le offese arrecate a quest'aspetto della realtà debbano dare uno sgo·mento maggiore, che esse siano tacitamente trascritte su uno schermo simbolico, ebbene tutto ciò, facendo parte della mitologia alvariana, va più richiamato, che discusso. Nel nostro caso, lo scrittore ha prescelto come strumento di registrazione, oltreché di verifica, dei miti di una società, una diciottenne borghese: ne nasce un intricato rap1 porto - complesso ma anche irrisolto - che dà luogo ad esiti eterogenei. C'è un'impietosa assimilazione della protagonista alle non remote eroine di Guido da Verona: « Si tolse il velo· sottile eh~ portava al collo, glielo, diede. ' Tenetelo per mio ricorlo '. Egli affondò il viso in quell'odore di velo e di cipria. Quindi Susanna fuggì con1e tra le quinte d'un teatro, ma Ottavio la seguì da presso. Di lontano si annunziò un laghetto tra sponde deserte e brulle, d'un azzurro da carta geografica. Ottavio raggiunta Susanna, la prese tra le braccia, con una forza che la spaventò. ' Lasciami, lasciami, io l'amo, io l'amo, io l'amo! ' Lo guardava con negli occhi lo stesso colore attonito del laghetto tra le sponde deserte. Si sentiva piena d'un amore immenso, senza speranza, un amore senza ragione e senza scopo, che credeva unico, immortale » (p. 124). E c'era stato prima un abbrivo nient'affatto da « dannunzianesimo per 'gente nova'» (come diceva Luigi Russo), bensì in compiuta sintonia, è facile notarlo, con la .pro,va de Il niare: Io stesso « stordimento », la stessa « inquiett1dine », che sembrano generati da un luo.go, un ambiente, un'occasione, una stagione, e che invece vengono da tanto lontano ... Ma qui, in Domani, è come se mancasse lo spazio per gli echi profondi, per i trasalimenti indicibili; e in loro vece, quasi per punire tutti gli altri personaggi del turbamento· deviato di Susanna, ecco l'agra ironia, ecco la sconcertante « ripresa» del loro « monologo interiore» a livelli che oggi non esiteremmo a definire fumettistici: « ' Se non vt1ole vada a farsi friggere', pensò tranquillamente» (pp. 126-127); <( 'È furba la piccina', pensò Ottavio sorpreso» (p. 128), ecc. 120 \ - Bibiiotecaginobianco -
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