Nord e Sud - anno XVI - n. 109 - gennaio 1969

.. I La sinistra non co,nunista in Francia coltà provengono, sia pure in misura diversa, proprio da coloro che dell'operazione dovrebbero essere i protagonisti. La posizione più chiara è quella dei radicali. Erede di una tradizione « gloriosa », ma ormai piuttosto ammuffita, il Partito radicale, perno di tutti i governi progressisti della Terza Repubblica fino all'avvento del Fronte Popolare del 1936, è oggi agli sgoccioli della sua fortuna politica. In netto declino fin dal 1946, i radicali hanno accettato di entrare nella Federazione con lo scopo preciso di sopravvivere il più a lungo possibile. Di tamponare l'emorragia che, una elezione dopo l'altra, li dissangua implacabilmente. Centristi per vocazione e anticomunisti per istinto, hanno aderito alla linea politica della Federazione senza condividerla affatto, consapevoli della necessità di dovere sacrificare una parte, almeno, dei loro princìpi per potere approfittare dei benefici elettorali che l'iniziativa unitaria avrebbe procurato a coloro che vi avevano preso parte. Coscienti della loro debolezza organizzativa nei confronti della SFIO e pieni di sospetto per l'attivismo politico dei leaders convenzionali, i radicali vedono la fusione delle tre famiglie federate come il fumo negli occhi. Ne hanno paura perché temono di doverne fare le spese. Per loro la Federazione va bene così come è, perché li lascia bivaccare in pace nelle ultime riserve di caccia di cui dispongono. Liberi di gestire come meglio credono il piccolo serbatoio di voti che ancora consente loro di non essere cancellati dalla carta politica della Francia. Intanto, me11tre socialisti e convenzionali sono impegnati a cercare una base di intesa con il partito comunista, i radicali continuano a guardare con nostalgia verso il centro. Perfettamente informati del fatto che dieci dei loro tredici deputati non sarebbero stati eletti senza il consenso del PCF, essi non sembrano praticare la virtù della riconoscenza. Nei confronti dei comunisti - accusati di non condividere fino in fondo i princìpi della democrazia liberale e di essere troppo « servili » nei confronti di Mosca - nutrono la repulsione di sempre. Le loro simpatie, anche se 110n sono dichiarate apertan1ente, vanno alle frange « progressiste » e « radicaleggianti» del partito gollista (Edgar Faure) o agli elementi più aperti e dinamici del gruppo « Progresso e Democrazia Moderna » di Duhamel. · Alla Convenzione e alla SFIO il linguaggio è diverso. Qui il nuovo partito è la grande « speranza» di domani. Ma se non esistono dubbi sulla necessità di dare vita alla nuova esperienza unitaria, molte incertezze esistono invece sul modo in cui tale esperienza dovrà essere attuata. Problemi di organizzazione, di dottrina e di strategia politica si accavallano senza che si riesca a trovare una soluzione che vada bene per tutti. E poi. chi sarà il leader del nuovo partito? Per un posto disponi87 Bibliotecaginobianco

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