Giornale a più voci Colpe quindi di uomini e non di sistema o di regime; non di leggi, perché le leggi ci sono o possono esserci, ma di chi « pon mano ad elle ». Perché la democrazia italiana sorta sulle ro1 vine di uno Stato fortemente centralizzato e burooratàco non ha visto attuato, per precise responsabilità politiche di cl1i faceva e di chi, per altre ragioni, lasciava fare, quel decentramento dei poteri che ,dissolve lo Stato burocratico e che è garanzia massima per la vita della sitessa democrazia. Se quest'ultima infatti consiste non tanto nella forma <li governo (una monarchia ad esempio può essere molto più democratica che non una repubblica), quanto invece nella parte che i governi fanno ai ,cittadin.i negli indirizzi politici e nelle scelte amministrat,ive: è chlaro che un regime democratico innestato integralmente o quasi sulle strutture di uno Stato centralizzato finisce col dare ben poco spazio all'iniziativa dei cittadini; e così, avocando a sé ogni iniziativa o paralizzando gli enti locali e periferici con pesantissimi e complicati controlli burocratici, elimina l'autogoverno e favorisce la sfiduoia dei cittadini verso uno Stato che essi vedono semp 1 re più lontano, permetten•do quindi quelle o,perazioni di vertice che con una certa superficialità vengono oggi attribuite al sistema dei partiti o alla democrania in quanto ta1e. Non vorremmo naturalmente essere tacciati di semplicismo eccessivo, attribuendo all'inco.mpiuto decentramento amministrativo e politico la causa unica della crisi che attualmente travagLia il nostro paese: e non è affatto detto, dato il continuo deteriorarsi de~la situazione, che le istituende forme di -decentramento, quali ad esempio le Regioni, non si trasformino in strumenti d,i corruzione e di sottogoverno. Ci pare tuttavia certo che se democrazia significa autogestione del ·potere per mezzo delle rappresentanze da parte dei cittadini, è chiaro che fino a quando questo ·potere resterà accentrato ai vertici dello Stato, la partecipazione dei cittadini arà poco più che illusoria; e sino a quando gli organi periferici certe particolari isti tL1zio·ni non avranno alcun potere autonomo di deci ione, essi saranno appetiti solo per mesch,ine e dequalificanti operazioni di sottogoverno, mentre tutto lo sforzo politico sarà diretto verso le i•stituzioni centrali dello Stato 1 : i partiti si trasformano così in fabbriche di deputati e perdon.o sempre più que11o che in gergo si chiama « il contatto con la base ». E se questo forse non è proprio il male del nostro tempo e della nostra democrazia, è certo uno dei suoi mali più evidenti; e sorprende vedere come anche t1omini sulla cui sincerità democratica non c'è alcuna ragione di dubitare, continuino a credere che più si decentri lo Stato più esso diventi debole. Luigi Barzin,i, ad esempio, ha scritto su « L'Europeo » del 12 dicembre 1968, che mentre in molti paesi avanzati « i progressisti vogliono rafforzare il potere centrale», l'attuale olasse dirigente italiana sembra invece voler perseguire « un antico sogno reazionanio, concepito in altri tempi, in 01dio _al progresso che era rappresent·ato dallo stato unitario». Ora, che lo Stato debba essere «forte» (che però non significa « violento», perché, come già notava oltre cento anni fa Droysen, lo, Stato ch1e ricorre alla violenza è in effetti debolissimo), che lo Stato debba essere forte, dicevamo, è un'affermazione 59 Bibliotecaginobianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==