Nord e Sud - anno XVI - n. 109 - gennaio 1969

Note della Redazione sario che si prenda coscienza del fatto che è improponibile sic et simpliciter e hic et nunc l'abolizione del sistema delle differenziazioni territoriali nelle retribuzioni. È certamente vero che, per i grandi complessi industriali, o a partecipazione statale o privati, che sono venuti nel Mezzogiorno in questi ultimi anni, i contratti nazionali di lavoro devono essere ide1ztici in ogni parte del paese, a parità di qualifica. Ci se111bra ingiusto, infatti, che l'operaio dell'I talsider di Bagnoli o di Taranto guadagni di meno ed abbia un trattamento aziendale peggiore dell'operaio dell'Italsider di Cornigliano (per questi proprio pochi giorni fa si è raggiunto un accordo tra lntersind e sindacati); e lo stesso dicasi per l'operaio di Porto Marghera rispetto a quello di Brindisi o di Priolo. È pur vero, però, che, specialn1ente nel Mezzogiorno, vi sono varie unità produttive appartenenti soprattutto ai settori dell'industria alimentare, dell'abbiglian1ento e delle piccole industrie manifatturiere in genere, che difficilmente potrebbero reggere ad un rialzo indiscriminato ed 1A.niforme dei minimi salariali. Per queste ultime bisogna chiedere il rispetto degli attuali contratti di lavoro e l'abbandono della pratica del sottosalario, poiché la sperequazione tra lavoratori del Nord e lavoratori del Sud, tra ex braccianti divenuti neo-operai e OJJerai da più generazioni, non sta tanto e soltanto nelle differenze salariali, derivanti da un diverso .assetto zonale, quanto nelle violazioni contrattuali. La maggiore sperequazione sta appunto nel potere e nel dinamismo dei sindacati, più forti e più dinamici al Nord di quanto non lo siano nel Mezzogiorno; sta nella tradizione e nella forza dei sindacati, più incisive nel Nord, dove possono farsi valere nelle complessivamente più favorevoli condizioni del n1ercato del Z.avoro, mentre nel Sud i sindacati si muovono in condizioni sfavorevoli, perché è sempre operante il ricatto del posto di lavoro. A questo punto ci sembra ùiutile e dannoso insistere con1e insiste la Confindustria nel recriminare e nel deplorare t<< incoscienza » dei sindacati; poiché, se non è vero che il rifiuto delle zone salariali provooa dei contraccolpi sulla politica di industrializzazione del Mezzogiorno e annulla i benefici predisposti da recenti provvedimenti, quale la fiscalizzazione degli oneri sociali, è pur vero al contrario che una « omogeneizzazione » dei livelli salariali, a scala settoriale, potrebbe, per certe aziende del Mezzogiorno, tra~ dursi addirittura in un incentivo a superare condizioni operative di carat, tere marginale, a rinnovare le strutture produttive, in un.a parola ad avviare, sotto la spinta della concorrenza, un deciso processo di rinnovamento. È questo, ci sembra, il punto cruciale del ragiona111ento: dobbiamo chiederci fino a che punto un diverso assetto salariale, più rispondente all'attuale realtà del paese, non possa portare come corollario necessario il problenza del rinnovamento delle strutture produttive del Mezzogiorno e delle forze capaci di garantire l'ulteriore processo di industrializzazione, rendendo direttamente corresponsabili in tale processo i sindacati. Ecco perché l'azione sindacale nel Mezzogiorno non può svolgersi unicamente secondo la logica di un astratto piano « perequazionistico », ma deve 54 ...... Bibiiotecaginobianco

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