Nord e Sud - anno XVI - n. 109 - gennaio 1969

' Note della Redazione riali e 4 « extra». Tale suddivisione comportava tra la zona O (Milano, Torino, Genova e Roma) e la zona 6 (nella quale sono raggruppate quasi tutte le province meridionali) differenze salariali pari al 20-25% del minimo assoluto. Di fronte alla rianimazione del movimento sindacale, specialmente nel Mezzogiorno, ed al sempre più vivace ritmo di scioperi che ha caratterizzato, durante tutto quest'anno, la ripresa dell'attività rivendicativa delle organizzazioni operaie e c01itadine in tutto il Mezzogiorno (e di cui Avola costituisce il tragico risvolto), la stessa Confindustria, anche se respinge le richieste di annullamento dell'assetto zonale, ritiene di dover « tener conto di fattori evolutivi che possono essersi verificati nei rapporti zonali » e d~ doversi disporre « all'adozione di nuovi criteri, o di nuovi parametri». I sindacati, d'altro canto, non accettano una «gabbia» ripulita al posto di una sporca ed osservano che una gabbia pulita è pur sempre una gabbia. Per poter coniprendere, e mettere a fuoco il problema nelle sue implicazioni con lo sviluppo delle regioni meridionali, bisogna dichiarare apertamente che le ragioni e le motivazioni, che a suo ten1po furono· port.ate per giustificare l'accordo salariale, hanno fatto il loro tempo. Da un lato, infatti, si insistette nell'attribuire ai diversi minimi di retribuzione salariale un valore incentivante nei confronti di una politica di industrializzazione delle aree meno sviluppate e dall'altro si pose l'accento sul concetto di solidarietà sociale che collegava appunto l'applicazione dei valori minimi principalmente al costo della vita riscontrabile nelle singole aree. In effetti, come è stato osserv.ato, è vero che sperequazioni troppo marcate « costituiscono un fattore che infiuisce sulla mobilità del lavoro assai più che sulla 1nobilità delle imprese » e pertanto le condizioni salariali troppo basse, che in molte parti del nostro Mezzogiorno si riscontrano, sono di per sé un incentivo all'emigrazione e soprattutto all'emigrazione di manodopera qualificata e specializzata: per cui si può ritenere che costituiscono un disincentivo e non un incentivo allo spostamento di capitali e di imprese nel Mezzogiorno. Uno studio condotto dall'ISVET (Considerazioni sul problema delle differenze salariali a livello territoriale dell'industria ital1iana) ha messo in evidenza come un certo gruppo di province appare « fuori linea» rispetto all'attuale inquadramento zonale. In particolare, rispetto all'accordo del 1961, si sono verificate modifiche non indifferenti nella struttura econo1nica di a[.. cune province determinando talvolta un incremento degli indici generali di sviluppo più accentuato in province delle zone « inferiori » delr.assetto ed addirittura l'inversione di tali livelli rispetto alle gerarchie fissate negli accordi del 1961. Sembra pertanto fondata e giustificata la proposta di revisio·ne dell'assetto salariale; ma è chiaro che tale riassetto non può essere effettuato sç non dopo un attento esame delle condizioni generali delle singole zo·ne e dopo una precisa valutazione di tutti gli effetti diretti e indiretti che una differente struttura comporterebbe per le loro prospettive di sviluppo. D.a parte dei sindacati e del movimento operaio nel Mezzogiorno· è neces53 Bibiiotecaginobianco

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