Nord e Sud - anno XV - n. 98 - febbraio 1968

Giovanni Cervigni È un discorso che sembra talmente ingenuo da risultare quasi patetico. Esso comincia col sorvolare, · anzitutto, sul fatto che oggi uno sviluppo graduale dalla piccola· alla media e poi alla gr~nde azienda, dall'industria semplice a quella complessa non è possibile; vi ostano ragioni di progresso tecnologico e di organizzazio11e di mercato. « Oggi », scriveva Paolo Sylos Labini nel 1960, « in un'econo1nia arretrata, in tanti e tanti rami industriali, praticamente non vi sono possibilità che piccole aziende si trasformino in grandi aziende moderne: le aziende piccole restano piccole». Il discor·so dei comunisti sembra poi ignorare le esperienze condotte durante in questi anni proprio nel Mezzogiorno; esperienze, e la Sardegna ne è un caso proban te, che dim-ostrano quanto lungo sia il passo da farei perché le opere di irrigazione si trasformino in colture irrigue: t1n passo lungo, in quanto questa trasformazione ne presuppone una più profonda, quella dei contadini in imprenditori moderni, quali debbono essere, appunto, gli agricoltori delle zone irrigue. E. gli imprenditori non nascono dall'oggi al domani; qualcuno pensa che si tratti addirittura di un problema di generazioni. I comunisti, infine, sembrano prescindere anche dalle dimensioni del problema, in quanto quel quarto· di produzione lorda agricola che rap-presentereb be la rendita fon-diaria consiste, espresso in termini monetari, in poco più di 400 miliardi, i quali, se destinati integralmente agli investimenti direttamente produttivi, aumenterebbero d'un 20% la m·edia annua degli investimenti previsti dal Piano: che, com'è noto, assegna per un quinquennio al Mezzogiorno almeno 10.000 miliardi. Ciò, ovviamente, nell'~potesi più ottimistica, quella cioè che l'abolizione della rendita fondiaria si p·ossa risolvere in investimenti, e senza tener conto del fatto che, bene o male, un'aliquota di quei 400 miliardi è già nel circuito dell'eco-no-mia meridionale, e ne alimenta alcuni consumi, non tutti d-efinibili superflui. Ma è un'ipotesi, questa, talmente ottimistica da sembrare irrealizzabile: politicamente, difatti, l'abolizione della rendita ·fondiaria non si risolvereb-be in un'operazione d'accumulazion.e, o di risparmio, magari forzato, bensì in un trasferimento della stessa rendita ai lavoratori della terra, i quali, afflitti da un reddito fo1 rtemente squilibrato rispetto agli altri lavoratori e stimolati, come tutti i cittadini, da un'economia dei consumi, destinerebb·ero presumibilmente questi redditi aggit1ntivi prima di tutto a soddisfare la propria sete arretrata di consumi e soltanto dopo al risparmio, all'accumulazione, agli investimenti. Si sostitui~ebbero, così, i consumi di gruppi nuovi ai con·sumi dei gruppi precedenti, con un'operazione che potrebbe, forse, avere qualche validità sul piano sociale, ma certo ben poca sul piano eco·nomico: in quanto 1 , passando dall'ipotesi ottimistica, e astratta, a quella pessimistica, e .concreta, la frazione d'incremento degli investimenti verrebbe ad essere di gran lunga inf~riore a quel 20% prima indicato. Il fatto è che i comunisti, molto più della maggioranza, sono1 alla ricerca di una impostazione nuova dell'azione meridionali~ta, che si ponga come alternativa a quella della maggioranza stessa: della quale, peraltro, si condividono alcune tesi, per avventura quelle di fondo, dalle argomenso Bibliotecaginob·ia~co

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