Note della Redazione centtnaia di vite umane sarebbero state risparmiate. Così, pure, la rete stradale della zona sarebbe stata infinitamente più fitta, più articolata, più efficiente: di conseguenza, i primi soccorsi avrebbero :Potuto· affluire sui luoghi del disastro con molto· maggiore s_peditezza, senza che si verificassero gli incredibili ed assurdi ritardi che si so·no verificati e senza che la gente fosse costretta a patire la f a1ne e il freddo, con gli au,tocarri carichi di cibo, di indumenti e di coperte, bloccati a qualche chilo-metro di distanza.· È innegabile che le deficienze dell'opera di soccorso e di assistenza, dovute alla mancanza di coordinamento, sono state indicibilmente aggravate dalle deficienze delle comunicazioni e dei servizi. Ma vi sono altre osservazioni da fare, un po' meno èlen1entari forse, e che pure rientrano in quella più generale considerazione fatta dall'on. Carollo sulla « storia colpevole», contro la quale la natura avrebbe scatenato la propria furia vendicatrice. Come ha osservato giustamente Giovanni Russo sul « Corriere della Sera », qui ci troviamo di fronte a una tragedia contadina; « 'con le vecchie case di tufo», ha scritto Russo, « è franata tutta una società che non si potrà mai più ricostituire». Una società anacronistica, una società basata su strutture vecchie e vacillanti, _proprio come veccliie e vacillanti sono· le superstiti case dei paesi colpiti dal terremoto: un'agricoltitra povera e antiquata, che si accompagna ad attività precarie come, ad esempio, il commercio ambulante. Una società che si va sempre più impoverendo e dissanguando, sul piano delle energie giovani, per effetto delle migrazioni, e ciò nonostante appesantita· dall'alto tasso di natalità. Una socie~à nella quale la diffidenza verso lo Stato, o 1neglio verso l'autorità in genere, affo-nda antiche (e non ingiustificate) radici; una società, non dimentichiamolo·, in cui la mafia fa costantemente sentire la propria minacciosa presenza; e in cui, molto spesso, l'unica forma esistente di vita associata è quella familiare (onde si verificano episodi co·me quelli di Milano, dove l'assistenza ai profughi ~iciliani è stata ostacolata non poco dalla caparbia volo·ntà delle famiglie - talvolta numero 1 se co·me piccole tribù - di restare unite; o co·me gli episodi verificatisi nella stessa Sicilia, dove questa ostinazione è giunta al punto di mettere a repentaglio le vite di coloro per i quali si imponeva il ricovero in ospedale, e che sono invece rin1asti a bruciare 'di febbre sotto le tende, in nome, appunto, dell'itnità familiare). Ma la colpa di tutto questo non è, evidentemente, dei co·ntadini siciliani;. la colpa è, possiamo ripetere con l'on. Carollo, dt un secolo di storia meridionalistica italiana; ed è anche - questo l'on. Carollo non lo ha detto, ma lo aggiungiamo no-i - di un ventennio di storia regionalistica siciliana. Il problema che ora si pone, quin-di, è quello di non perseverare nell'errore. Da tenipo i meridionalisti -andavano sostenendo la necessità di avviare,. nel Sud, un processo di decentramento e di redistribuzione della popolazione, sfollando le città-dormitorio e promuovendo nuovi insediamenti in borghi residenziali da costruire con mQderni criteri urbanistici; e da tempo i meridionalisti andavano agitando il ·problema delle localizzazioni industriali e il problema delle vie di comunicazione nel Sud, problemi da 44 Bibliotecaginobianco , .
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