Da Mack Smith a ·set on W atson I assai diverso dalle divertenti affern1azioni di Mack Smith, e che co-n- , valida in sostanza le molte p·agine del migliore Volp·e sul drammatico nesso « Italia ed Europa » nella storia moderna e contemporanea. A parte Volpe, del resto, è stato proprio un nostro grande storico di ispirazione democratica a paragonare l'Italia e la Germania do-po il '70 a due inaspettati viaggiatori che salgono su un treno, cercano un posto, e disturb-ano gli altri ben accomodati passeggeri. Soltanto i tedeschi potevano però mostrare u11 lungo biglietto di vittorie militari, che dava loro diritto ad essere trattati con considerazione! Gli italiani invece, privi com'erano di credenziali analoghe, venivano guardati con sospetto da tutte le parti e co11siderati per giunta quali perturbatori dei fondan1entali princìpi di autorità e di proprietà, vuoi per il carattere parzialmente rivoluzionario del loro movimento di unificazione, vuoi anche e forse più per il modo in cui avevano affrontata la questione romana (cfr. G. SALVEMINI, La politica estera della Destra in « Rivista d'Italia » 1924-25). Un quadro onesto, dunque, quello di Seton Watson, che la dice lunga sulle enormi difficoltà non solo interne, ma anche e soprattutto internazionali, che la classe dirige_nte unitaria si tro-vava a dover affrontare· nel mondo aspro e ferrigno dell'Europa bismarckiana e im.perialista: in un'Europa cioè « in cui i sogni . mazziniani di una missione nazionale al servizio· dell'umanità contavano ben poco di fronte agli eserciti n1oderni e alla potenza industriale » (Seton Watson, op. cit., pag. 36). Bibliotecaginobianco Questa dura e difficilmente modificabile realtà europea, frutto forsanche del fallimento quarantottesco, che già di per sé tanti ripensamenti e ripiegamenti sollecitava, imponeva insom1na degli obblighi ineludibili per una classe di goverr10 responsabile. Per una classe dirigente, s'intende, che non avesse voluto accettare per l'Italia (come non poteva, per molteplici e co-mplessi motivi storico-ideali, politici e strategici) il più o meno comodo e redditizio ruolo di una Svizzera neutrale o magari di un grande Belgio senza l'industria e senza il carbone (cfr. in proposito le giuste considerazioni di F. Chabod in Sto-- ria della politica estera italiana dal 1870 al 1896, vol. I, Bari 1951, pag. 288 sgg.). Si capisce allora il fondo serio di quegli uomini politici italiani che Mack Smith vedeva (a cominciare da Cavour) troppo vanamente preoccupati per le virtù militari del proprio popolo; troppo morbosamente sensibili quindi alle diffuse e radica te voci oltrealpine che dipingevano l'Italia, secondo un cliché duro a morire, come « un museo di rovine, un paradiso di turisti, un paese di cantanti d'opera, di suonatori d'organetto, di venditori di gelati, di mendicanti e di scrocconi. .. » (Mack Smith, op. cit., pag. 188); troppo infi11e prigionieri del1' ossessione ·di dare all'Italia in Europa uno spro-porzionato ruolo di Grande Potenza. Una chiave d'oro, quest'ultima, per l\,1ack Smith, e che gli permetteva di aprire molti usci sprangati. A co-minciare dalla Triplice. Quale fu, infatti, il senso più pro121
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