I Note della Redazione Il testo della legge non prevede neanche un tentativo di coordinamento nor1nativo tra le scelte specifiche degli enti pubblici economici e quelle fondamentali del Programma Economico Nazion,ale: parla soltanto di informazioni che devono essere fornite al Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica; esclude da qitesto obbligo gli istituti e le aziende di credito; e infine prevede relazioni settoriali sulla situazione economica e relazioni previsionali e programmatiche distinte dalla relazione al Parlamento sulla situazione econo·mica del paese e dalla generale relazione previsionale e pro gra,n1natica. Quanto alla politica di investimenti dei singoli Ministeri, la legge tende ad assicurare un certo grado di autonomia decisionale, frazionata, di ciascuno di essi: nia fino a che punto· tali autonomie dei Ministeri, o i difetti del frazionamento, possono essere compensati dalla pur prevista continuità di presenza del CIPE a tutti i livelli, e addirittura dalla sua prevalenza sul Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica? D'altra parte, anche i rapporti tra leggi di prograrnma settoriali e Programma Economico Nazionale (art. 12) vengono lasciati nel vago. Ne consegue in ogni caso che, mentre l'attuazione del Programma resta affidata alle forze in gioco, il Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica risulta indebolito e condizionato perfino nella fase di redazione dei documenti della programmazione. Si puntella così l'attuale struttura burocratico-amrninistrativa dello Stato, soltraendo o·gni potere a quel Ministero attraverso il quale dovrebbe passare - come responsabile del Programma - sia la trasformazione dello Stato che quella della politica economica, l'una e l'altra in funzione delle esigenze di adeguamento allo spirito ed alla lettera della progranimazione. Ma dove la concezione tradizionale e rigida della struttura burocraticoamministrativa risulta riaffermata (in aperto contrasto con l'ampio margine di autonomia concesso al settore privato, agli enti pubblici economici ed ai singoli Ministeri) è a proposito dei rapporti fra Programma Economico Nazionale e Regioni. La legge, infatti, prescrive che: 1) i criteri per l'articolazione regionale della programmazione siano formulati dal CIPE; 2) le Regioni formulino uno schenia di sviluppo al solo scopo di fornire indicazioni al CIPE ed al Ministero del Bilancio; 3) le Regioni dichiarino gli interventi che intendono attuare nelle materie di propria competenza, avendo cura che tali interventi siano conformi alle decisioni del CIPE; 4) il Programma Economico Nazionale sia vincolante nei confronti delle Regioni per quanto riguarda gli obiettivi globali e settoriali dello sviluppo ed i criteri generali dell'assetto territoriale; 5) le Regioni non possano interferire nelle scelte e Helle decisioni relative all'articolazione territoriale dei programmi degli enti pubblici economici e dei Ministeri. Può essere questo, dev'essere questo il giusto punto di equilibrio fra esigenze di centralismo ed esigenze di decentramento su scala regionale? A noi senzbra che il discorso sulle materie di competenza delle Regioni non sia stato affatto approfondito e che comunque non possa essere considerato valido il frettoloso e sommario elenco di materie che· si legge nell'articolo 117 della 33 Bibliotecaginobianco
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