Nord e Sud - anno XV - n. 108 - dicembre 1968

Il Potere in Italia 1 stò, al fin dal suo ap·parire, in storici come Valeri, Maturi ed il nostro De Caprariis. Come non è un caso il fatto che egli possa citare, condividendolo, un noto giudizio e non certo, ci sembra, del più obbiettivo Salvemini sulla Storia d'Italia del Croce ( « opinioni del dott. Pangloss sulla storia d'Italia acconcia te in modo da convalidare sempre le opinioni del dott. Pangloss ). E, sia detto qui tra parentesi, non ci sentjremmo · francamente di giudicare con Maranini « obbiettivamente abbastanza giustificato » un tale giudizio. Saremmo innanzitutto piuttosto inclini a prendere con beneficio d'inventario certi giudizi di Salvemini su Croce, esasperati come sono non di rado da pregiudiziale animosità nei confronti del filosofo napoletano. D'altra parte Salvemini che pure quale partecipe delle vicende politiche italiane ha espresso su di essa i roventi giudizi che si sanno, allorché poi è tornato su queste stesse vicende con l'occhio critico e vigile dello storico, ha di assai rettificato quegli stessi giudizi (basti ricordare la prefazione, dopo tante polemiche antigiolittiane, all'Età giolittiana di W. Salomone). Ed infine si ·può poi dire che la storia del1'ltalia unitaria sia proprio veduta e pensata da Croce co1 n l'ottimismo pregiudiziale dell'eroe di Voltaire? Quando poniamo questa do-manda pensiamo non solo alla recensione di Adolfo Omodeo del 1928 ( cfr. Difesa del Risorgimento, Torino, Einaudi 1955, pgg. 428-429); pensiamo anche a più recenti ed obbiettive ed attente « riletture » dell'opera famosa di Croce, a quelle di un Maturi (cfr. « Rileggendo la Storia d'Italia di B. Croce in « Cultura Moderna » Bibiiot~caginobianeo dicembre 1952) e di uno Chabod del denso saggio su Croce storico che pure hanno messo in evidenza le ombre che in realtà percorrono quell'opera. Ma queste non sono che osservazioni marginali. Il nostro dissen ~o con Maranini è altrove. In realtà, ultimata la lettura della sua opera non ci si può non chiedere se sia lecito, in sede storica, giudicare di un sessantennio di s~oria politica e costituzionale italiana avendo in mente se1npre e soltanto, come unico metro di giudizio, un certo modello di regime parlamentare. Ci si potrà obbiettare che il regime parlamentare che Maranini assume a categoria di interpretazione storica non è, come s'è visto, il perfetto ed astratto prototipo uscito dal cervello dei giuristi, quanto lo storico prototipo inglese. Ma il fatto è che sul piano del giudizio storico lo storico prototipo inglese, in quanto appartenente a ben di-• versa realtà politica, sociale, storica ci sembra non meno astratto dell'astratto prototipo dei professori di diritto. Ci sembra di scorgere insomma, nelle posizioni di Maranini, e questa volta trasferito ·sul piano della storia delle istituzioni, l'errore comune a tutte le forme di revisionismo risorgimentale che si sono succedute dall'Oriani al Missiroli al Gobetti: l'errore cioè di commisurare una concreta realtà storica, la storia quale concretamente è stata e s'è svolta ad un astratto ideale morale e politico (e non importa, ripetiamo, se questo ideale sia frutto dell'im•maginazione o lo si veda o lo si creda realizzato in altro paese), con l'arbitraria pretesa, di ori125

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