Nord e Sud - anno XV - n. 108 - dicembre 1968

Recensioni e l'approfondimento dei temi esaminati. E tuttavia, se il Plebe e il Rosso ci trovano sostanzialmente consenzienti con le loro analisi - o meglio con lo spirito che le anima - il Ghio, invece, che rappresenta, forse, uno degli esponenti più vigorosi di quel gruppo di cattolici aperti al dialogo di cui s'è detto, porta nel suo saggio preoccupazioni rispettabili, ma che ci rendono, sotto molti versi, perplessi. Il Ghio, giustamente e felicemente, distingue tra Illuminismo storico, e cioè « un determinato, per quanto poliedrico, corpo dottrinale» (a proposito del quale mette in guardia dalla « facile tentazione di insistere troppo sulle sue interne contraddizioni, sulla sua mitologia e sul suo dogmatismo») e un animus illuministico, cui quello storico avrebbe dato « limpida » espressione e che si risolve nell'esigenza di una scepsi, intesa in senso positivo, come uso critico della ragione. E conclude « ... solo pensando alla Verità non più come oggetto inerte di contemplazione, ma come condizione e fondamento del nostro sforzo di ricerca e insieme come orizzonte e misura di tale sforzo, si potrà salvare il senso autentico del sapere filosofico e insieme recuperare nella sua pienezza il valore speculativo dell'illuminismo. Solo così sarà possibile accogliere il suo insegnamento più vivo e insieme sfuggire al suo inaccettabile esito: ritrovando cioè il significato vero del sapere filosofico inteso leibnizianamente come ' espressione' sia pure puntuale e fallibilissima e mai esaustiva, della Verità e quindi emergente, in qualche modo, dal condizionamento storico in cui si trova inevitabilmente inserito» (pag. 437-8). E qui si può anche accettare l'invito a non fare della ragione « la sola misura delle cose» e ricercare fondamenti teoretici rispetto ai quali « possa invece essere misurato il valore del suo sforzo di ricerca» (e certo storicismo esasperato potrebbe trovare in questo sforzo un uti_le antidoto!), a patto, però, che ci si indichi concretamente il risultato possibile di una ricerca del genere. Quale significato ha, per fare un esempio, ciò che il Ghio qualifica come « riscoperta del concetto di tradizione come il tessuto vivo del dialogo intemporale fra gli uomini pensanti e non già come ingombrante bagaglio di dogmi che si pretenda sottrarre alla critica »? Dette in un certo modo, alcune frasi del Ghio non si distinguono gran che da fin troppo note espressioni crociane nei riguardi del relativismo storicistico o della tradizione, che rivive in nor, non al modo delle morte cose, ma come dialogo vivo e fecondo, eredità che si fa storia (v. Franmmenti di etica e filosofi.a e storiografia). È vero che Croce, parlando di una « Necessità, una Ragione, una Provvidenza, che regge malgrado gli individui le cose umane», distingueva tra « l'opera positiva dello spirito e il non-essere o negativo che sempre l'accompagna ad ogni istante, e che in ogni istante è sorpassato» (e aggiungeva: « questo negativo, che non è una parte della realtà, ma la realtà stessa, luce e perciò insieme ombra, viene metaforicamente staccato come parte e contrapposto ad un'altra parte; e l'una si chiama umano, il terreno, l'individuale, il mortale e l'altra il divino, il celeste, l'universale, l'immortale ») e ciò facendo negava l'immortalità personale e riduceva le epoche storiche alla puntuale e necessaria manifestazione di una Ragione, che tra115 BibliotecaGino Bianco

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