Nord e Sud - anno XV - n. 108 - dicembre 1968

Dino Cofrancesco neoplatonico, l'immanenza e la trascendenza come le due ali della Rivelazione» (pag. 320), il vol. XIII contiene un interessantissimo articolo di A. Plebe sul platonismo inglese, in cui la filosofia cantabrigese viene ricondotta ad un razionalismo deistico affatto moderno: polemico nei confronti . dell'empirismo, in quanto questo impediva una fondazione aprioristica e razionalistica della vi,ta dell'uomo, e legato ad un cristianesimo eirenico, sempre più estraneo alla rivelazione religiosa del culto positivo. Pure notevole, nella sua brevità, è il saggio del Viano sul Locke. Nell'empirista inglese, vi si conclude, « la religione non si identifica con il nucleo più alto e intangibile delle verità razionali; essa è un'altra cosa, è fede, e come fede lascia impregiudicato il campo della morale e dei comportamenti politici. Il vecchio figlio di un capitano del parlamento inglese poI'tava così a termine il tentativo di laicizzazione della vita pubblica e intellettuale; uscito da un clima in cui la Scrittura era diventata il veicolo di ogni manifestazione intellettuale e sociale, cercava di restituire la Scrittura alla fede » (pag. 592). Sempre nello stesso volume, si nota per impegno e rigore storiografico, il saggio dedicato da A. Guzzo al Berkeley, del quale si può dire ciò che lo stesso Guzzo afferma de L'immaterialismo del Berkeley di B. Croce, e cioè che si tratta di un'« interpretazione esemplamente onesta e completa di tutti i motivi della filosofia del Berkeley » (pag. 684). Afferma del filosofo inglese il Guzzo: « empirista radicale e assoluto qual era, i,I B. non avrebbe potuto prestar ascolto ai 'sensi esterni' e negar ascolto al 'senso interno' senza mutilare quella rivelazione integrale dell'esperienza che poneva a ba-se del suo filosofare» (pag. 682). E nel saggio le fin troppo evidenti preoccupazioni del pensatore cattolico che vuole ricondurre il discorso berkeleyano nell'ortodossia cristiana ricevono una robusta fondazione filologica. Pure preoccupato di verificare i propri atteggiamenti filosofici mettendoli a confronto con quelli del filosofo esaminato - in questo caso Hume - si mostra il Santucci, il cui articolo conclude il vol. XIII. « Hume - vi si legge - è tanto più empirista a misura che' l'esperienza di cui parla' indagata nei suoi moventi e nelle sue contraddizioni, si libera dagli schemi in cui era stata fissata e la pregiudiziale psicologica si converte in atteggiamento fenomenologico. Così il l,e,ttore assiduo dei classici, lo storico e l'osservatore della società moderna, l'antropologo e il moralista si sostituiscono volta a volta alla figura del pensatore sistematico. Né si tratta di una rinuncia alla filosofia, ma di un nuovo modo di praticarla e farne un sapere dell'uomo e per l'uomo » (pag. 829). E il Santucci conclude coerentemente: l'inquirer scettico può diventare l'esemplare deM'analista moderno che limita convenientemente il suo impegno alle ricerche che sente congeniali al proprio temperamento e che ritiene utili al mondo degli uomini» (pag. 834). Il volume XIV dell'« Antologia» è quello più coerente: i «curatori», infatti, A. Plebe (L'Illuminismo inglese), C. Rosso (I moralisti francesi) M. Ghio (L'Illuminismo francese), pur diversi culturalmente, non fanno avvertire nessuna discontinuità di collaborazione per quanto riguarda l'impegno 114 BibliotecaGino Bianco

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