Filippo Scalese probabilmente posti, allora, in maniera· diversa e più precisa: la nuova politica, indipendentemente dall'approfondimento degli squilibri tra i due tipi di aree, deve evitare che le co-ndizioni so·~iali ed eco,no-miche dei territori di sistemazione restino statiche, o che addirittura peg- . . g1or1no. A prima vista può sembrare che si dica la stessa cosa e cl1e si faccia della mera no1 n1enclatura: ma se il problema delle « aree di sistemazione » viene posto non più nei termini vaghi di attenuare il divario fra esse e le aree di sviluppo, bensì nei termini più puntuali di evitare un peggioramento• delle loro co,ndizio11i - ossia se il miglioramento delle condizioni dei territori di sistemazione assurge a condizio-11e no•n subordinata della nuo·va strategia nel Mezzogiorno - allora il rt1olo1 degli effetti indotti dell'industrializzazione va riconsiderato in una più am-pia prospettiva. In realtà, il Mezzogiorno no1n è soltanto una società agricola da industrializzare, un territorio povero di infrastrutture e di servizi civili, ma, nelle zone più interne, esso è ancora « sfasciume » idrogeologico, agricoltura povera e insufficiente, isolamento delle po,polazioni; è ancora assenza di un sistema urbano, di assi di comunicazione, di città attive che ·no,n siano, so1 ltanto « grossi agglomerati con la funzione di dormitori ». Attenuata l'antica « segregazione topografica », diminuto lo squilibrio tra riso,rse e popolazio-ne, la soluzione dei problemi dei territori di sistemazione passa per le vie obbligate della modificazione delle strutture agrarie, della trasformazio,ne degli insediamenti umani, del raffo,rzamento delle strutture urbanistiche, le sole che possono portare al miglioramento, delle co11dizioni di questi territori, contenere l'esodo rurale ed impedire fenomer1i « patologici » di squilibrio territoriale. Esisto,no, cioè, dei pro·blemi che so1 no, autonomi rispetto al processo di sviluppo, anche se ne sono naturalmente condizio11ati; la loro soluzione deve discendere, quindi, da una politica autonoma che tenga conto anche - e soprattutto - degli effetti indotti dello sviluppo, ma che abbia come autonomo obiettivo una corretta pianificazione territo.riale delle aree di sistemazione; anzi, si può aggiungere che questa autonomia dovrà essere tanto maggiore quanto più veloce sarà il ritmo del « meccanismo auto,propulsivo », quanto più sensibili saranno gli effetti dello sviluppo nei territori circostanti. Non ci sembra sufficiente, cioè, che, a differenza di quanto accade nell,e aree di sviluppo globale, dove gli interventi sono univocamente finalizzati verso l'obiettivo dell'industrializzazione e del potenziamento delle attività produttive (anche se differenziati secondo, la realtà economica delle singo1e zone), gli interventi pubb,lici nelle aree di siste88 Bibiiotecaginobianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==