Nord e Sud - anno XV - n. 106 - ottobre 1968

Renato Perrone Capano italiano. Così, l'episodio (se tale può dirsi) della iniziativa del Conte di Granville, ministro degli affari esteri di Gran Bretagna, di chiedere ai Lords del1' Ammjragliato di inviare a Civìtavecchia U11anave da guerra « per premunirsi contro la possibilità che il ritiro delle tn1ppe fr~ncesi ·da Ro1na sia seguito da disordini che possano recar danno alla sicurezza di vite e di proprietà inglesi e cl1e possano persino indurre il Papa a desiderare un asilo ft1ori d'Italia» (pagi11e 129-131). Il ministro inglese, però, aveva cura di scrivere a colui che fino al giorn.o innanzi era stato rappresentante di Sua Maestà Britannica presso lo Stato Pontificio: « Debbo proprio dire che il Governo di Sua Maestà non desidera un tale risultato». Se si considera che l'Inghilterra, staccatasi da Roma cattolica -da oltre trecento a11ni, era in quell'epoca il paese in cui ancora si bruciava il Papa in effigie, si deve constatare che la politica e la storia hanno ·singolarissimi modi di manifestarsi (deve essere qui ricordato che il Granville è colui il quale ha la benemerenza di avere difeso il diritto di asilo in Gran Bretagna per i patrio ti italiani esuli). Iv1a deve ancl1e valere la considerazione che colui il quale in quel tempo era il titolare del Foreign Office non fu individuo distintosi per capacità, sagacia e saggezza. Co,sì, l'affermazione di Marco Minghetti, che nel tempo della presa di Roma era ambasciatore a Vienna: « Conoscendo l'i11dole del Papa, il Re doveva correre immediatamente a buttarsi ai st1oi piedi e tutto si sarebbe chiuso » (pagina 108), appare stupefacente e tale da accreditare un giudizio molto duro dato dal Conte di Cavour sulle reali capacità politiche dello statista emiliano. Non è, infatti, certamente credibile che il capo di uno 1 Stato sovrano potesse aderire puramente e semplicemente alla richiesta del capo di altro, Stato che, sia pure prosternato ai suoi piedi, avesse preteso niente altro che la soppressione della sua sovranità e il trapasso sotto la propria sovranità dei suoi dominii. Né Vittorio Emanuele II avrebbe potuto avanzare così peregrina pretesa, né il Pontefice avrebbe potuto ,dare ad essa la propria adesione. , L' opera di Gitllio Andreotti (nella quale non sembra propria l' espressione di « Marcia su Roma » per l' 01 perazione del 20 settembre 1870, a cagiojne dei turpi raffronti ai quali induce con la cosiddetta « marcia su Roma» dei fascisti del 28 ottobre 1922, cl1e lt1tti, vergogne, danni e rovina doveva dare all'Italia) ritiene di avere la descrizione, sui doc11menti pubblici e segreti e sulle risultanze della stampa periodica, del dramma umano e politico, e, i;n misura minima, militare, del malinconico tramonto del potere temporale dei Papi, tramonto che era e doveva essere fine, nello stesso beninteso interesse della parte che era privata del suo. Ma la descrizione di Giulio Andreotti è illuminata dall'amo,re per l'Istituzione che aveva· posizione di parte avversa nella contesa relativa al possesso di Roma e doveva diventare, solamente rispetto al possesso di territorii e di beni patrimo ... niali, vittima nella vittoria che 101 Stato italiano conseguì, e non poteva non . cons~gu1re. Sennonché la vittima della sottrazione dei territorii dei suoi stati, del millenario « Patrimonio di San Pietro,», da quella privazione ricavò vantaggi che superarono il danno e la perdita finirono per colmare. Fu detto dal Cardinale 110 Bibiiotecaginobianco

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