Nord e Sud - anno XV - n. 106 - ottobre 1968

Dino Cofrancesco tiva a tutti coloro che vi concorrono, e il salariato sia modificato: dalla partecipazione alla gestione ed ai ricavi dell'azienda, venendo meno, con l'ineguaglianza, « la fatalità della natura domata dalla libertà dell'uomo » viene me110 anche l'autorità, definita da Proudhon come « la facoltà che si arroga un individuo, una co1 rporazione o una casta di disporre a suo piacimento, per 1.111fine conosciuto da lui solo, e senza garanzie né responsabilità da parte sua, del potere pubblico, degli interessi generali, cioè dello Stato stesso e fino a un certo punto delle fortune e delle proprietà private, il tutto in virtù di un diritto sedicente divino o di conquista, in virtù della superiorità di razza, o anche di una delega di popolo» (pagg. 599-600). Ai teorici dell'autorità - dal Cristianesi1no a Robespierre, a Mazzini - viene co11trapposta una visione dello Stato, in virtù della quale esso risulta « dalla riunio 1 ne di numerosi gruppi diversi per natura ed oggetto 1 , formati per l'esercizio di una funzione speciale e la creazione di un ·prodotto speciale, poi riuniti sotto una legge comune e un interesse identico » (pag. 546). Ma a cl1i va la direzione del potere sociale, in uno Stato siffatto? A tutti e a nessuno - risponde Proudhon - Risultato il potere politico dal rapporto di numerose forze, la ragione dice anzit11tto cl1e queste forze devono bilanciarsi le une con le altre, in modo da formare un tutto regolare ed arn10nico » (pag. 551). Si tratta, per lui, di scegliere una buona volta tra due concezio11i anliteticl1e. « Nell'ordine naturale - argomenta - il potere nasce dalla società, è la risultante di tutte le forze particolari raggruppate per il lavoro, la difesa e la Giustizia. Secondo la concezione empirica suggerita dalla alienazione del potere, è la società, al contrario, che nasce dal potere: esso ne è il generatore, il creatore, l'autore: esso è dunque superiore alla società, in modo che il p1incipe da semplice agente della repubblica, co1ne lo vuole la verità, ne diventa il sovrano, e come Dio, il ~iustiziere » (pag. 556). In virtù della prima, « lo Stato, la cosa pubblica, res publica, è fondato· sulla base, per sempre indistr11ttibile, del diritto e delle libertà locali corporatjve e individuali, dal gioco delle quali risulta la libertà nazionale» (pag. 597); i11 virtt1 della seconda, si arriva, invece, alla ragion cli Stato, alla Giustizia come funzione dell'Autorità, alla democrazia giacobi11a, al comunisn101 liberticida. I11 tale situazion.e patologica, « la vita dei dipartimenti si concentra nei capoluoghi, la vit~ dei capoluoghi l1a il suo f11oco nella capitale, e tutta la vita della capitale si concentra in qualche edificio speciale, che la elabora per il resto del paese, il Palazzo, la Borsa, l'Accademia, la prefettura di polizia, il Castello » (pag. 521). Messo da 1-111 canto l'ideale federalistico che fonda la convivenza nel pieno rispetto degli individui produttori, dei gruppi, delle comunità, degli Stati e convergendo tutta la vita verso un principio politico unitario e tirannico, non ·si ha pit1 il libero germogliare di attività liberale, rispettose le une delle altre, ma l'organizzarsi in vista di un ideale - la patria, la ragion di Stato, il predominio di questo o quel partito o classe o casta - il decadere delle cellule viventi ad atomi di un sistema. La critica proudhnoniana non ri104 Bibiiotecagino.bianco

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