.. Narrativa meridionale e proble1natica di cultura divisione che si propaggina tra gli stessi critici, sicché c'è da un lato ii critico accademico e dall'altro il militante, con la conseguente deficienza di impostazione estetica e culturale da parte di questo, e il mancato aggiornamento e la sufficienza dell'accademico verso la produzione contemporanea. La critica italiana, d'altronde, ha una strana diffidenza verso, il narratore che vuol fare anche opera di pensiero e di cultura: qui da noi, infatti, un Huxley è ritenuto un ideologo, un conversatore, un saggista più che un romanziere, e si son lette più di una volta riserve verso gli « straripanti inserti saggistici » nei romanzi di Thomas Mann. E la medesima diffidenza si è esercitata verso Pirandello, quel Pirandello di cui, nonostante l'indiscussa sicilianità riaffermata da Sciascia, il carattere fortemente problematico e filosofeggiante rimane un'eccezione nella letteratura meridionale, che si rivolge quasi esclusivamente all'interpretazione del popolo e del suo folklore. Di essa diremo piuttosto (mentre al principio ne avevamo notato il divergere dalla fortissima tradizione cultural-filosofica del Meridione) che proprio questa filosofia, che dal Vico in poi è prevalentemente storicistica e scarsamente metafisica, può aver favorito e sviluppato negli scrittori una problematica storico-sociale - la linea costante del loro discorso letterario - minimizzandone l'aspetto metafisico, il problema dell'essere, l'interesse alle psicologie più evolute e più culte. Si dimostra dunque valida quella distinzione che facevamo a proposito della « qualità » delle idee che stanno dietro gli scrittori: l'attenzione portata dai pensatori meridionali a una certa realtà concreta, storico-sociale, ha il suo riflesso nell'opera dei narratori, ed è in tal senso - come accettiamo per pensiero, per filosofia questa del Mezzogiorno in quanto filosofia e pensamento della realtà umana nello svolgersi della sua storia - che ritroviamo la possibilità di parlare di una letteratura di idee anche nel Mezzogiorno. Resta però incontestabile quella che infine è la tara di quasi tutta la nostra letteratura almeno dopo il Manzoni (perché prima il fenomeno non si verifica), e cioè che i nostri scrittori di rado sono anche uomini di idee, sono invece o raffinati umanisti, o istintivi, o raccontatori garbati che riportano sulla pagina certi fatti della realtà esterna, ma raramente dei pensatori o, per dirla con parola che qui carichiamo di tutto il significato pregnante che le compete, degli intellettuali. Pare oltretutto che lo scrittore italiano abbia quasi paura di mettere in scena l'uomo di cultura, sé stesso, i suoi pro-· blemi. Di fronte a tanti romanzi stranieri i cui protagonisti sono intellettuali, scrittori, artisti, con una società intellettuale che dibatte fervidamente i suoi dialoghi, le sue idee, i suoi dissidi, una narrativa del genere è del tutto assente da noi. 23 iblioteca Gino Bianco
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