,Dall'« opulenza » al benessere La stessa asserita sottovalutazione dell'importanza degli investimenti umani 15 non sembra essere stata, già allora, altrettanto diffusa in Europa come negli Stati Uniti. Alcune alternative proposte da Galbraith al consumo (e perciò alla produzione) di beni durevoli di consumo avrebbero effetti tutt'altro che favorevoli allo sviluppo (e, in termini di benessere, probabilmente piu sfavorevoli delle irrazionalità dell'opulenza, che comt1nque non sono affatto l'unica alternativa concreta): questo almeno può dirsi di tutti i comportamenti, proposti da Galbraith, che tendono a diminuire lo stimolo al lavoro. Galbraith propone, in un passo cl1e sembra tra quelli meno spesso ricordati della sua opera, una certa tolleranza per la disoccupazione, che non sembra giustificata neanche negli Stati Uniti e che comunque sembra sottovalutare gli effetti diretti e soprattutto indiretti di una, anche limitata, disoccupazione permanente. L'autore della Società opulenta scrive infatti 16 : « Fintanto che si attribuiva la priorità alla produzione, ogni aumento della disoccupazione volontaria non poteva non apparire pro tanto intollerabile, anche se, in fondo, seguendo la raffinata mancanza di logica con la quale la mentalità convenzionale considerava la produzione, la disoccupazione involontaria in momento di crisi, e la inevitabile riduzione dell'attività produttiva, non apparivano mai come un fatto particolarmente deprecabile. Ma, in un mondo in cui la produzione non è più urgente, noi possiamo naturalmente prendere in considerazione con una certa obbi ttività un eventuale aumento dell'ozio involontario... Un p1 roblema che bisognerà affrontare nell'emanciparci dalle attuali nostre idee in materia di pieno impiego, è quello che si riferisce al marchio che continuerà ancora per molto tempo ad accompagnare ogni forma di disoccupazione: essa continuerà a godere di una cattiva fama ». Queste frasi costituiscono un'apologia esplicita della disoccupazione. Non sarebbe inutile constatare quanto la tesi così delineata appaia oggi irresponsabile in presenza della realtà attuale degli stessi Stati Uniti. È noto infatti che una data percentuale di disoccupazione non tende a distribuirsi in misura più o meno uguale tra tutte le categorie (e anche in questo caso•, non certo tra gli economisti) ma colpisce soprattutto i lavoratori meno qt1alificati. Le crescenti tensioni razziali degli Stati Uniti derivano, in sostanza, da un fenomeno di disoccupazione. Si deve infatti constatare che, benché gli Stati Uniti possano disporre di una dotazione di capitale pro capite certamente non inferiore 1s Idem, p. 276-277,p. 351. 16 Idem, p. 300.. BibliotecaGino Bianco 119
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