Ernesto Mazzetti Quando si perseguono politiche nazionali di sviluppo economico programmato, la prima considerazione è che, ad interventi economici complessi come appunto quelli richiesti da tali poli ti che, sono idonee solo dimensioni geografiche am·pie, intermedie tra il livello nazionale e le dimensioni comunali o provinciali o dipartimentali. La regione appare il livello territoriale più adeguato ai metodi della programmazione: ma le dimensioni dell'articolazione territoriale di un programma economico non si possono ricavare « da semplici calcoli econometrici o da modelli urbanistici ideali ». Labasse, Le Lannou e numerosi altri geografi mettono in guardia dagli « eccessi di tecnicismo » che caratterizzano talvolta la regione degli economisti e dagli « eccessi di ideologismo » che caratterizzano talvolta la regione degli urbanisti. Bisogna operare sulla scorta dei dati ricavati dall'esame della realtà di fatto: la « regione-situazione ». E « la regione-situazione, con la sua metropoli, la sua armatura urbana, la sua ampiezza » è apparsa in tutti gli studi in materia come la grandezza geografica in cui tende ad articolarsi « na tur:11mente » l'economia dei paesi sviluppati dell'Europa occidentale. Ma allorché ci si applica all'identificazione delle regioni-situazione, o si cerca di valutare le dimensioni spaziali più equilibrate delle regioni dell'Europa occidentale (come ha fatto lo Juillard) e si comparano quindi i dati così ricavati a quelli relativi alle regioni amministrative italiane, ci si avvede che tutte e venti sono ben al disotto dei valori demografici e territoriali che - per 126 BibliotecaGino Bianco quanto approssimativi e generali - possono assumersi come « ideali » (anche perché riflettenti condizioni di equilibrio spontaneamente determinatesi lungo, la strada di un avanzato sviluppo economico in altre regioni d'Europa): « soprattutto si constata, in Italia, una forte diffo,rmità tra un compartimento e l'altro ». Una rapida, ma attenta, analisi degli attuali compartimenti italiani - tanto più agevole per il Muscarà che può avvalersi delle accurate ricerche compiute nella sua Geografia dello sviluppo, lavoro che precede di pochi mesi il saggio di cui ci occupiamo - porta l'autore ad una ribadita negazione della corrispondenza dei comp·artimenti del Maestri alla nuova articolazione territoriale del paese e lo porta, del pari, ad una sostanziale concordanza con le ipotesi di ritocchi prospetta te dal Compagna (L'Europa delle regioni) che si concretano in « qualche regione in meno ed eventualmente alcune sub-regioni in più»: « una dozzina di regioni e due marche di confine (Val d'Aosta e Alto Adige)». Ma con lo stesso Compagna, Muscarà conclude cl1e per una nuova regionalizzazione del paese non tanto debba porsi l'accento su rilevanti cambiamenti di delimitazioni territoriali, quanto piuttosto occorra basarsi su una politica che agisca sulle « strutture regionali; e cioè sulle strutture urbane ». Il punto di riferimento deve essere un equilibrio urbano tra le diverse aree componenti il territorio nazionale: onde una politica di contenimento dei fenomeni di iperpolarizzazione e congestione delle aree dove essi si manifestino:
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