Giacomo Torelli ritoriale e delle funzioni da svolgere. Anzi, a mio avviso, e proprio nel senso di un maggior equilibrio, come sede di organi decentrati dell'amministrazione centrale, e anche di quella regionale, le Province _potrebbero aumentare di n•umero. Per esempio, il Piemonte, una delle « grandi regioni», ha solo sei province, di cui alcune vastissime, come Cuneo, o Torino, o Novara, che va dalla Svizzera al Po; il Friuli fino ad oggi ha una sola provincia ma si sta rimediando; Rimini non è ancora Provincia; l'Umbria ha solo ,due Province; il Molise è costituito ,di una sola imp·raticabile Provincia; la Puglia ha solo cinque Province, la Lucania due, la Calabria tre, per arrivare al co,lmo della Sardegna che, con una supertìcie quasi pari a quella della Sicilia, e sia pure con una popolazione molto inferiore, ha tre Province (non potrebbe essere anche questa abnorme situazione una delle cau1 se, forse minori, del1 l'attuale disagio di questa regione?). Ed eccomi, in·fine, alle Regioni. Le recenti vicende parlamentari della legge elettorale le hanno riprop,oste, e forse ce n'era bisogno, all'attenzione del paese; la strenua o:pposizione liberale (taccio degli altri) è motivata dalle note ragioni storiche che non condividiamo (ch1i scrive era regionalista convinto anche prima dell'ultima guerra, cioè .quando aveva meno di venti anni ed in tempi non sospettabili di regionalismo), ma non è pr,iva di fondamento in quanto prospetta il timore che le Regioni si facciano male. La recente nomina di una Commissione di studio ad alto Livello da p·arte del Presidente del Consiglio proprio p·erché tardiva non- è priva di significato al riguardoi .. Dunque si oppone che in obbedienza al precetto costituzionale si vuole disfare lo Stato unitario, risorgimentale, attuando le Regioni «,storiche», cioè anacronistiche, dialettali, ecc., mentre invece, in tempi di europ·eismo, cioè di tendenze verso organizzazioni territoriali più vaste, e per le esigenze della programmazione economica, -si dovrebbe, caso mai, fare delle Regioni ben diverse. Sul primo aspetto della critica non intendo soffermarmi perché le rispo1ste sono già state date, o si possono sempre dare, ampie, documentate, ben più autorevoli delle mie. Sul secondo aspetto mi pare che sia ancora utile meditare. Sembra, cioè, innegabile che, ai fini della programmazione economica e della con,nessa pianificazione urbanistica (territoriale), quali che siano questi fini, una ripartizione del territorio nazionale in Regioni, o zone, non possa coincidere con le Regioni storiche e ciò proprio per motivi economico-territoriali, cioè geografici, produttivi~ di trasporti, ecc. ecc. Anche sotto l'aspetto della omogeneità, e quindi dell'equilibrio all'interno delle singole zone, della uniformità dell'indirizzo di sviluppo, sembrano più «naturali», più convincenti dieci sole zone in luogo delle 19 o 20 Regioni storiche . . Per esempio: 1) triangolo nord-occidentale: Piemonte-Lombardia-Liguria, senza le Province di Mantova e La Spezia, ma con la Provincia di Piacenza {regione di peso circa doppio delle altre); 2) tre Venezie; 3) Emilia-Romagna senza Piacenza, ma con Mantova, La Spezia e Massa-Carrara; 4) Alto Tirreno: Toscana (esclusa Massa-Carrara), Umbria e Lazio settentrionale fino a Roma; 66 -- BibliotecaGino Bianco
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