Nord e Sud - anno XV - n. 102 - giugno 1968

.. L'editoria italiana e una cultura guaggi e di prassi. Il linguaggio della politica, dei politici, non sempre segue con agilità le modulazioni della realtà nazionale, il suo trasformarsi, il suo agitarsi. Mi sia co-ncesso però anche dire che spesso il linguaggio culturale è di fatto, a prescindere dalle intenzioni, anch'esso rigido nobilmente, ma nobilmente avvolto su sé stesso. Proviamo a vedere se partendo da questa traccia: possibili errori dell'editoria, è possibile vedere meglio il problema. Perché - ed è qui il punto - il contenuto di questi linguaggi e di queste prassi è identico; sono i problemi dei cittadini, i problemi di tutti. Ho detto in apertura che cultura, economia, società civile, non tollerano paratie stagne. È la forza delle cose, della realtà, ossia l'identità dell'oggetto, che di diritto e forza proclama errore ogni paratia stagna, ogni artificiosa isola chiusa, ogni fossato. L'editoria è a un raccordo, da essa possono dipendere in certo grado molte cose, o almeno• una, ma importante: che tutti abbiano in mano gli strumenti per conoscere e giudicare. Non credo sia poco. È invece così tanto, che l'editoria può commettere errori. Oppure, rivendicare, alla fine della propria fatica, i meriti. L'editoria può dunque sbagliare l'interpretazione delle forze culturali, o delle forze sociali, politiche, economiche che 11ella cultura si riverberano o si esprimono. In questo senso, la storia dell'editoria italiana non è tutta gloriosa. Troppe volte ha assunto una certa cultura come la cultura e l'ha pubblicata, pubblicizzata, diffusa, tentando di imporla senza avvedersi che si era estenuata e sclerotizzata, arrivando anzi al punto, così facendo, di estenuarla e impoverirla ancora di più per effetto di saturazione. Mentre quella certa cultura non mordeva più il reale, in altri punti d'Italia o più spesso fuori dall'Italia, le idee camminavano con diverso slancio, intraprendevano sentieri e poi strade audaci, differenti, più fruttuose. È successo così che nel trascorso decennio abbiamo dovuto tradurre molto. Anche qui, la precipitazione ha finito col fare lo sgambetto a molti editori. Bisognava tradurre perché la cultura italiana, anche per riflesso con la realtà politica nazionale, si era co.nfinata in posizione di stallo. Vi erano ritardi no11 di anni ma di decenni. Sono parse novità cose che in Europa e in America erano• state elaborate e rielaborate per anni e anni e sino in fondo. E occorreva tradurre le opere di fenomenologia, di antropologia strutturalistica, di sociologia, dell'esistenzialismo come occorre tradurre anche quelle di linguistica, di scienze fisiche e biologiche, di filosofia analitica, perché la cultura italiana ne prendesse nozione, le facesse entrare in circolo e le restituisse sotto forma di libri migliori, più aperti, a livello .superiore, comprensivi della 1 veloce evoluzione del mondo in ogni sua parte e aspetto. Pubblicare traduzioni quindi non per deprimere la cultura e gli studiosi italiani, ma 9.5 Bibliotecaginobianco

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