Nord e Sud - anno XV - n. 102 - giugno 1968

Francesco Compagna Sennonché, sul piano delle crisi internazionali, noi abbiamo sempre ritenuto, e continuia1no a ritenere, che i pericoli maggiori per la pace mo11diale, o quanto meno per l'equilibrio di potenza che è una delle co11dizioni della pace mondiale, i pericoli maggiori no·n devono essere ravvisati oggi nella situazione dell'America latina o dell'Africa nera e nemmeno nella situazione del Sud-est asiatico. Fra quelle che, nella sua Strategia della pace, John Kennedy chian1ava le « zone grigie » del mondo, ve n'è una che dobbiamo considerare più preoccupante delle altre: la situazione del Medio Oriente è più che mai carica di tensio,ni. È passato quasi un an110 dalla guerra dei sei giorni, ma non si vedono vie di uscita a breve scadenza: non si intravedono possibilità di soluzione dei problemi di confine, di convivenza, di pacifico progresso econo1nico e civile delle popolazioni che sono insediate fra la Valle del Nilo e la Mesopotamia. È probabile che i paesi arabi, malgrado· le armi ricevute dall'Unione Sovietica, e purtroppo non soltanto dall'Unione Sovietica, non siano in grado, almeno nel pro-ssimo futuro, di aprire una nuova fase della· guerra armata. Ma questa fase della non g.uerra non sembra preludere alla pace, perché non si è ancora delineata nei paesi arabi un'alternativa politica al razzismo arabo e perché coloro che governano i paesi arabi, più che darsi pena della povertà delle popolazioni, eccitano •il razzismo arabo: lo eccita110 anche per eludere i problemi dell'analfabetismo e della fame, i problemi che, assai più della esistenza di Israele, condizionano l'avvenire del mondo arabo. La nostra Europa è minacciata dalla crisi del Medio Oriente. Ivla l'Europa è divisa. E pro-prio in rapporto alla crisi del Medio, Oriente si può 1nisurare quanto costi all'Euro,pa la sua divisione: 11el senso che la sua influenza politica risulta ormai ridotta ai minimi termini. Ancl1e questi accenni sommari alle ombre che si proietta110 sulla scena del mondo riconducono, quindi, il nostro discorso· alle o·mbre che si proiettano sulla scena dell'Europa. Consideriamo, d'attra parte, i rapporti fra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica: la distensione ha provocato un certo· dissolvimento dei blocchi, dei blocchi che si erano formati e irrigiditi co·me blocchi co·ntrapposti negli anni 'SO. E c'è cl1i ritiene che questo sia un fatto molto positivo. Ma fino a che punto il dissolvimento dei blocchi non dà luogo a ritorni di fiamma del 11:azionalismo? Ma fino a che punto l'allentamento dei rapporti di solidarietà atlantica nell'Europa dell'ovest e la stessa desatellizzazione dei paesi dell'Europa orientale po,sso,no degenerare in senso nazionalistico, e provocare quindi un'ulteriore balcanizzazione dell'Europa, una 10 Bibiiotecaginobianco

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