I La politica di sviluppo regionale nella esperienza italiana rettiva di azione che occorre mantenere fermo. Senonché, l'istrumento dell'impresa pubblica in economia di mercato può essere impiegato solo secondo il criterio cl1e si è più sopra esposto. Se infatti l'impresa pubblica dovesse muoversi in vista di conseguire determinati obiettivi di investimento, indipendentemente dalla loro convenienza, e se, come è nei presupposti, tale azione fosse molto rilevante, verrebbe a crearsi nel Mezzogiorno -d'Italia un sistema produttivo che si potrebbe definire di tipo caotico. Caotico nel senso che non sarebbe rego1ato né dal mercato, dato che, in principio, l'intervento prescinde dal mercato, né da un piano, dato che il piano italiano si propone di regolare non i singoli investimenti industriali del Paese, ma un'azione pubblica diretta a dare un senso al meccanismo di mercato, meccanismo che, però, si vuole azionato -da decisioni individuali, di tipo imprenditoriale. Ove si vogliano mutare i criteri di azione dell'impresa pubblica non basta quindi auspicare un intervento da parte di tali imprese che presci11da dalle indicazioni del mercato; occorre anche prevedere un piano analitico e obbligatorio degli investimenti industriali di tutto il Paese che collochi al posto giusto gli inv~stimenti di tutti. Tutto ciò non viene però proposto neppure dalle correnti politiche più radicali. Né vale dire che l'intervento fuori mercato potrebbe essere in un primo tempo di entità limitata; la sola adozione del principio che lo Stato può intervenire quando vuole, con iniziative fuori mercato, cleterminerebbe con tutta probabilità un arresto degli investimenti privati e alla fine un esodo del capitale privato già investito. A tale capitale non si può infatti sensatamente chiedere di assumere dei rischi in un sistema ove operano unità non soggette ad alcun condizionamento, né di mercato, né di piano. Né potrebbe essere evitato un deterioramento del grado di efficienza del sistema delle imprese pubbliche già esistenti; prive di ogni condizionamento che non sia l'entità della occupazione che devono raggiungere, esse potrebbero cedere alla facile tentazione di lasciar cadere fuori mercato le unità di produzione che oggi vi sono o desistere dagli sforzi che esse compiono per condurvele. Questo in linea di principio; in linea di fatto un simile svolgimento 110n potrebbe neanche avere inizio in Italia con il necessario vigore. Basti ricordare che l'industria manifatturiera italiana conta oggi oltre cinque milioni di addetti; il sistema delle aziende a partecipazione statale ne occupa 220/250 mila, pari al 5% circa; poco più grande è il contributo dato da tali aziende alla formazione del reddito nazionale. È quindi legittimo presumere che sia di tale ordine la quota di capacità imprenditoriale che lo Stato controlla attraverso il sistema delle parte93 Bibiiotecaginobianco
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