Nord e Sud - anno XV - n. 101 - maggio 1968

I La politica di sviluppo regionale nella esperienza italiana gresso che rende possibili aumenti di produttività molto maggiori che in passato. È quindi inevitabile, tenuto conto anche che l'Italia, nel Mercato Comune Europeo, si sta integrando con Paesi a più alto reddito, una maggiore polarizzazione degli investimenti nelle zone ricche, ove gli effetti pro.dotti dall'aumento di produttività non siano gestiti avendo presenti anche le necessità di sviluppo delle zone povere. In tale quadro non può essere accettata l'affermazione secondo la quale il perdurare del divario è un prezzo che va pagato per aumentare la produttività dell'industria della zona ricca, onde garantirne la competitività, -principio che implica una alternativa tra ulteriore industrializzazione del Mezzogiorno e aumento della produttività della zona più ricca del Paese; industrie aventi diversa intensità di capitale e quindi diversa produttività (ad es. l'industria americana da un lato e quella dei Paesi europei dall'altro) possono essere in una situazione di parità ·sul mercato, grazie alla diversa struttura dei loro costi. Competitività dell'industria esistente ed eliminazione del divario non sono quindi obiettivi incompatibili; politica degli investimenti, politica fiscale e politica dei redditi offrono strumenti sufficienti per conseguire tale compatibilità. Il fatto che efficienza o stabilità mo11etaria o ambedue siano ritenuti obiettivi alternativi a quello della unificazione economica nazionale è indice solo del posto cui il problema del Mezzogiorno è relegato da talune correnti di pensiero dopo cento anni di vita unitaria. Nessuno oserebbe dire che determinati obiettivi in fatto di istruzione, o di ordine pubblico, o di difesa nazionale, o di pubblica assistenza, siano da mettere in discussione in nome della efficienza o della stabilità monetaria o di altro; e ciò perché tali obiettivi sono oggi concordemente accettati dalla comunità nazionale; una simile posizione non si è invece ancora potuta affermare nei riguardi del destino di un insieme di regioni ove risiede quasi il 40% della popolazione italia11a e che fornisce il 60% dell'aumento naturale della forza di lavoro posseduta dal Paese. In sostanza, riguardo al problema del Mezzogiorno, tende sempre a prevalere il tipo di rapporto esistente un tempo tra Paesi ex coloniali e loro ex colonie, cioè un rapporto in virtù del quale il progresso della zona povera è, come detto, un eventuale sottoprodotto del progresso della zona ricca. E, co11cludendo, solo nella misura in cui il Mezzogiorno sia visto come problema di sviluppo di tutta la società italiana e non come problema regionale potrà evitarsi che la sorte di tanta parte del P·aese sia lasciata al solo gioco degli interessi dei ceti delle zone ricche, appoggiati a modelli di sviluppo in cui l'unificazione economica e sociale del Paese è una variabile e non un vincolo. 87 Bibliotecaginobianco

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