Nord e Sud - anno XV - n. 101 - maggio 1968

18 Giuseppe Galasso anche nella vicenda della politica kennediana, interpretata, da un lato, come « preoccupazione di evitare agli USA e al mondo intero la catastrofe d'una guerra mondiale» e, dall'altro lato, come « p,roposito di impedire ogni mutamento dello status quo a favore della causa dell'indipeo.denza dei popoli e del socialismo, di consolidare il blocco atlantico anche sul piano economico e politico, di estendere la penetrazione degli USA e degli altri paesi imperialistici in Asia, in Africa e nell'America Latina». Del kennedismo veniva, però, respinto il proposito di fondare l'accordo russo-americano « sulla divisione del mondo in ' sfere d'influenza ', divisione che veniva presentata come l'unica base possibile per la coesistenza pacifica >~; e così pure « il proposito di sfruttare le differenze e i contrasti fra i paesi socialisti, le divisioni fra i paesi di nuova indipendenza e i conflitti di classe e politici all'interno di questi ultimi ». L'assassinio di Kennedy v~ niva giudicato « di per sé una prova assai eloquente della virulenza dei gruppi reazionari e oltranzisti presenti negli USA e della gravità della crisi sociale e politica che travaglia questo paese e di cui il problema negro costituisce un nodo essenziale». La politica post-kennediana degli USA veniva, a sua volta, giudicata come un'accentuazione degli « aspetti aggressivi e ricattatori della loro politica estera», tale da configurare un « tentativo di modificare i rapporti di forza attualmente esistenti, per imporre su queste basi, ad un mondo che non può rimanere fermo, una cristallizzazione della situazione, per riaffermare una direzione imperialistica in vaste aree del globo». E, naturalmente, in questo quadro veniva anche giudicata la guerra del Vietnam con la sua pericolosità per la pace mondiale. L'llO congresso portava, inoltre, in luce la prima interpretazione completa del PCI sulla fase storica e sulle caratteristiche politico-sociali del terzo mondo all'indomani del pratico completamento del processo di decolonizzazione. Già il 100 congresso aveva, nelle sue Tesi, esposto una compiuta definizione del neo-colonialismo come lo sforzo dei « grandi paesi capitalistici già possessori di vasti imperi coloniali» e di « tutti quei paesi dove l'economia capitalistica ha assunto i caratteri dell'imperialismo» per « mantenere in vita, in nuove forme, quello sfruttamento e quella aggressione di popoli interi che consentirono, nel passato, l'accumulazione di ricchezze e profitti sterminati ». Sotto « l'apparenza di un generoso aiuto paternalistico» si imponevano ai popoli ex coloniali « indirizzi che ne impediscono lo sviluppo democratico e mantengono la loro economia in condizioni di subordinazione e soggezione a quella delle metropoli e del grande capitale monopolistico in esse dominante». L'llO congresso aggiungeva che le differenziazioni poi sopravvenute fra i paesi ex coloniali erano dovute in p,rimo luogo a « ragioni oggettive»: « da un lato, perché nello sviluppo interno di questi paesi emergono le contraddizioni di classe e p·olitiche, anche profonde; dall'altro, perché questi paesi sono partiti da livelli diversi di sviluppo e perché l'imperialismo, oltre l'eredità della miseria e della fame, ha lasciato 'loro l'eredità di vecchi contrasti nazionali, etnici, religiosi e una grande incertezza e talvolta arbitrarietà nella loro stessa configurazione di stati nazionali indipendenti. In una serie di paesi tutto ciò ha portato alla formazione di nuovi gruppi djrigenti o allo spostamento dei vecchi gruppi dirigenti su posizioni più avanzate sia sotto il profilo sociale che sul terreno internazionale. In molti casi, Bibiiotecaginobianco

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