I ; , Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Felice Ippolito, La ricerca: un discorsoda rinnovare - Giuseppe Galasso, I comunisti italiani e l'analisi del capitalismo - Massimo Galluppi, I succes- .A' sori di Johnson - Pasquale Saraceno, La politica di sviluppo regionale 11ella esperienza italiana e scritti di Rosellina Balbi, Francesco Barbagallo, Franco Briatico, Ermanno'\:orsi, Elena Croce, Giacomo Micheletta, Calogero Muscarà, Carlo Turco . • • ANNO xv - NUOVA SERIE - MAGGIO 1968 - N. 101 (162) EDIZIONI SCIENTIFICHE IT A,LIANE NAPOLI Bibliotecaginobianco
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I I NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XV - MAGGIO 1968 - N. 101 (162) D I R E Z I O N E E R E D A Z I O N ·E : Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.347 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità : EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.346-393.309 Una copia L. 400 - Estero L. 700 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annu~le L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L. 5.000, semestrale · L. 2.700 - Fascicolo arretrato L. 800 - Annata arretrata L. 8.000- Effettuare i versamenti sul C.CJ>. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via Carducci 29, Napoli Bibliotecaginobianco .. I
SOMMARIO Editoriale [3] Felice Ippo-lito La ricerca: un discorso da rinnovare [6] Giuseppe Galasso I comunisti italia11i e l'analisi del capitalismo [12] Massimo Galluppi I successori di Johnson [33] Note della Redazione L'Italia nucleare - La lente di ingrandimento - « Ragazzo, torna presto » [ 48] Giornale a piµ voci Elena Croce Sul libro di citltura [53] Calogero Muscarà Il futuro di Venezia [ 56] Ermanno Corsi Le mani su.Ile carni [59] Argomenti Francesco Barbagallo Università: riforma e rivoluzione [62] Documenti /Pasquale Saraceno La politica di sviluppo regionale nella esperienza italiana [75] Lettere al Direttore Carlo Turco, Gli elettori « bianchi » [ 117] · Rosellina Balbi Giacomo Micheletta Miti e paradossi della progra.mmazione [124] Franco Briatico L'ENI a Manfredonia [127] Bibiiotecaginobianco
I , Editoriale Quale sarà la composizione del Parlamento che uscirà dalle elezioni del 19 maggio? Ogni previsione, naturalmente, sarebbe azzardata. L'esempio d'i qitanto si è verificato nelle elezioni regionali della Val d'Aosta è, sotto questo profilo, significativo. Se ci si poteva aspettare, difatti, un travaso di voti dal partito comunista a quello socialproletario, tenuto conto delle insofferenze manifestatesi negli ultimi tempi, nessuno, a d'ir vero, si sarebbe aspettato un travaso di voti - e un travaso piuttosto notevole, per giunta - dai comu.nisti al PSU. Ciò non significa, certo, che i risultati della Val d'Aosta siano da considerare come una anticipazione dei risultati nazionali; significa soltanto che anche in Italia, iri un paese cioè dove il fenomeno della « viscosità elettorale » si è puntualmente verificato in occasione di tittte le ultime consultazio,ni, si possono registrare sorprese. Sembra tuttavia lecito formulare una previsione di massima. Quali che possano essere gli spostamenti deter1ninati dalle elezioni del 19 maggio, difficilmente essi avranno dimensioni tali da incidere prof ondamente sulla co1nposizione del futuro Parlamento. Le oscillazioni delle varie forze politiche, è stato osservato, sono marginali, non superando mai il 2 o al massimo il 3%. Benché i partiti di opposizio•ne si siano affannati a convincere gli elettori che il loro voto potrà rimescolare le carte, consentendo nitovi schieramenti e una nuova direzione politica del paese, è probabile che l'attuale maggioranza mantenga, grosso modo, le sue po- . . . SlZlOnl. Dobbiamo concluderne che le elezioni del 19 niaggio si riducono ad una vuota formalità? Niente affatto. Anzitutto, il voto del 19 maggio può servire a confermare o a modificare i rapporti di forza all'interno dello schieramento di centro-sinistra. ]?uò servire a rafforzare o a indebolire i due partiti della sinistra laica - socialisti e repubblicani - nei confronti della Democrazia Cristiana. Si tratterebbe, in un caso o nell'altro, di un fatto politico degno di tt11 certo rilievo, capace di influi re direttamente sulla natura degli accordi programmatici intorno ai quali sarà imperniata l'esperienza politica della società italiana nei prossimi quattro • anni. Ma anche nel caso in cui i rapporti di forza dovessero rimanere immutati, siamo convinti che la prossima legislatura segnerà una svolta di 3 s·ibliotecaginobianco
Editoriale importanza decisiva nel corso politico italiano. Il malcontento del paese per la mancata soluzione di proble1ni numerosi e imp·o_rtanti, l'irritazione per una certa tattica temporeggiatrice che in definitiva si è risolta in una politica rinunciataria, si è manifestata visibilmente; e se i risultati elettorali non rispecchieranno in modo clamoroso questo diffuso stato d'animo, sarà solo perché le opposizioni non sono in grado di offrire al corpo elettorale alternative valide. Tuttavia, ai cittadini delusi restano altri modi per forni re certe indicazioni alla classe politica. Gli elettori socialisti, ad esempio, possono benissimo far intendere quale sia la linea che vorrebbero vedere seguita dal PSU: basti pensare al significato politico che avrebbe una eventiLale co,nvergenza delle preferenze sui candidati provenienti dal PSI piuttosto che su quelli provenienti dal PSDI; o meglio, una convergenza delle preferenze sui candidati chè siano notoriamente fautori di una politica più avanzata e più risolutamente rif armatrice, da parte del futuro governo di centro-sinistra, o sui candidati che, soddisfatti della raggiunta stabilità democratica, mirerebbero a lasciare le cose press'a poco come stanno. Certo, la1 situazione socialista è sotto certi aspetti unica; per gli elettori che gravitano verso .altri partiti è meno facile esprimere una iridicazione che non sia soltanto generica. Tuttavia, non è solo per l'azio,ne politica socialista che i risiLltati del 19 maggio potranno dar luogo a conseguenze rilevanti; anche gli altri partiti potranno ricavarne indicazioni significative. Per esempio, i dati elettorali, anche se quantitativamente immutati, potranno indirettamente accelerare certi processi di chiarificazione interna: ciò vale soprattutto per il PCI, che dall'eventilale perdita a sinistra di voti « cinesi » e dall'eventuale compensazione a destra di voti « riformisti » dovrebbe essere spinto a definire rigorosamente, e senza ambiguità, la direzione delle proprie scelte. Ma vale anche per la DC, la quale forse registrerà per la prima volta una perdita di voti cattolici; e nonostante gli incrementi che il partito democristiano potrà conseguire a danno delle destre, o a danno della componente socialdemocratica del PSU, o magari come contraccolpo della « sfida divorzista » dei partiti laici, è chiaro che una sia pur marginale rottura dell'unità dei cattolici non potrebbe non incidere sul tipo di soluzione che i democristiani daranno al problema della leadership del loro partito. Per quel che rig·uarda, infine, la prevista espansione del partito repubblicano, è evidente che essa non sarà tale da trasformare il PRI i'n un partito di massa; ma è altrettanto evidente, specie se si tiene conto della impostazione data da La Malfa alla campagna elettorale, che un successo repubblicano costituirebbe una conferma del credito che 4 Bibiiotecaginobianco
.. I Editoriale sembra riscuotere il discorso kennediano che i repubblicani hanno cercato di impostare, approfondire e portare avanti. Delle attese del paese, i piìt avvertiti esponenti della classe politica si sono resi conto da tempo; è sperabile che i risultati elettorali, o, per dir meglio, tlna intelligente analisi dei risultati elettorali, consenta loro di portare avanti un discorso rif or1natore serio. Se il centro-sini- . stra continuerà, malgrado le divergenze affiorate negli ulti1ni tempi tra i partiti e gli uomini della coalizione, esso dovrà continuare sulla base di un programma concreto, di scelte precise, prioritarie e vincolanti. Eludere questo tipo di impegno significherebbe compromettere, in futuro, ·anche quella condizione di stabilità democratica che costituisce oggi il principale titolo di merito del centro-sinistra. Per· questo, occorre· anzitutto una ferma volontà p·olitica. Quella volo·ntà politica che, nel corso dell'ultima legislatura, è troppo spesso mancata. \ 5 Bibliotecaginobianco
La • ricerca: un discorso da • rinnovare di Felice Ippolito La chiusura della quarta legislatura della Repubblica ci permette di constatare uno dei più vistosi parado,ssi della vita pubblica italiana: il problema, ancora insoluto, della ricerca scientifica. Tale proble1na si presenta oggi di più ·difficile soluzione 1di quanto non potesse essere qualche anno fa, perché esso si riconnette attualmente con una delle più gravi crisi interne che l'Italia unitaria abbia dovuto affro,ntare: la crisi delle Università. Mentre infatti prima che quest'ultima scoppiasse nella sua tragica gravità, sarebbe stato possibile avviare a soluzione il problema della ricerca, oggi, mentre le fatiscenti strutture delle Università minacciano di crollare sotto la spinta di forze ed esigenze nuove, di quel problema si allontana o comunque si complica la soluzione. È in effetti l'Università che deve svolgere una parte basale e cospicua della ricerca così detta fondamentale, mentre è dalla Università che devono uscire i ricercatori ed i direttori di ricerca. L'un problema pertanto interagisce con l'altro e ne complica la soluzione. In questo breve scritto vogliamo sottolineare soltanto taluni aspetti del problema della ricerca e segnatamente quelli di struttura. Negli ultimi mesi, le categorie direttamente interessate alla ricerca, i più accorti uomini politici, 1'01pinione pubblica stessa sembravano avere acquistato coscienza ,del problema; la pubblicistica di ogni tipo, dai grandi giornali di informazione fino alle riviste culturali, passando per tutta la colorata gamma delle pubblicazioni periodiche, ha riversato praticamente ogni giorno sul mercato delle idee una larga messe di interventi critici, di interviste, di indagini, di proposte in tema di organizzazione della ricerca, onde può dirsi che nessuna area deìla vasta problematica del settore· sia rimasta inesplorata. Eppure la quarta legislatura ha chiusa la sua vita senza varare alcuna organica riforma del settore: le strutture fondamentali della ricerca, sulla cui arcaicità - salvo le debite eccezioni - nessuno osa più porre seri dubbi, stanno ancora là, immobili, pronte a sfidare i secoli. II movimento di critica di cui si è constatata l'esistenza non si è fermato alla fase dell'analisi, ma ha avuto anche non trascurabili effetti sul piano dell'attività legislativa: i disegni di legge sulla riforma universitaria (che tiene anche conto della ricerca in seno àll'Università), sull'istituzione del Ministero della Ricerca, sulla riforma del CNEN, 6 Bibiiotecag inobianeo
.. \ .. I ' La ricerca: un discorso da rinnovare sulla riforma ·dell'Istituto superiore di Sanità, sul potenziamento delle stazioni sperimentali del Ministero dell'Industria costituiscono altret ... tante testimonianze di un concreto interessamento degli ambienti politico-legislativi al troppo a lungo trascurato settore della ricerca, a11che se in qualche caso non c'è che da compiacersi che i progetti di legge si siano arenati prima che l'iter legislativo giungesse a compimento e ,dotasse il paese di nuove strutture inca·paci di operare. Generalmente si osserva che quanto più perfetti app·aiono i nuovi progetti, sotto l'aspetto del loro inquadramento in un disegno razionale, quanto più apertamente rivelano il loro ansito di « coordinamento», di « armonizzazione », di « potenziamento», tanto più appaiono destinati ad aumentare la confusione e ad appesantire il faticoso cammino della nostra ricerca scientifica verso gli obbiettivi postulati da una società moderna. Il recente dibattito sul gap tecnologico, cui va indubbiamente il merito di aver impostato per la prima volta un confronto di sistemi e di mentalità tra la civiltà giuridico-umanistica europea e quella tecnologica di oltre Atlantico, ha notevolmente contribuito a schiarire le idee: esso sta infatti convincendo molti della necessità di abbandonare, almeno nel campo della ricerca, gli schemi tradizionali di organ.izzazione, i modelli ormai sclerotizzati della nostra pubblica amministrazione, per giungere ad una nuova formulazione dei problemi della ricerca scientifica e tecnologica. Un sostanziale passo nuovo, sempre nell'ordine di schiarire le idee, ci è parso il Rapporto compilato da un gruppo di esperti dell'OCSE che ha visitato di recente il nostro paese ed ha condotto una indagine nei centri decisionali ed operativi della nostra ricerca scientifica e tecnologica. Il Rap·porto si inquadrava in un vasto esame che l'OCSE, col sistema delle commissio,ni di tre esperti non appartenenti al paese considerato, ha condotto presso tutti gli aderenti all'Organizzazione: si voleva, in altri termini, che dalla critica costruttiva e dal confronto delle es,perienze scaturissero più facilmente, dopo un'ampia e franca ,discussione tra tutti, le linee direttive delle indispensabili riforme di struttura. Leggendo il Rapporto non si comprende perché il mon·do ufficiale italiano gli abbia fatto il viso dell'armi e ne abbia finora p•raticamente impedita la diffusione. Si trattà invero di un documento molto equilibrato, che ci auguriamo posso essere presto tradotto e ·distribuito in gran nu·mero di copie, perché esso rappresenta un ottimo punto .di · partenza per una riforma globale, anche se talune affermazioni di dettaglio possono trovarci dissenzienti 1 • 1 Tale, ad esempio, l'affermazione che Croce abbia esercitato una influenza negativa sullo sviluppo della mentalità moderna, in quanto la sua reazione contro il 7 Bibliotecaginobianco
Felice Ippolito 11 Rapporto mette subito, in evidenza i contrasti esistenti nella società italiana « che attraversa un periodo difficile di adattamento all'evoluzione economica e tecnica e alle conseguenze sociali di tale evoluzione » ed esamina, ai fini della determinazione di una politica scientifica italiana, l'Università e le istituzioni para-universitarie, gli istituti e i laboratori scientifici non universitari e la politica scientifica e tecnica fin qui seguita. Nel campo ,delle più stridenti co,ntraddizioni, il Ra·pporto rileva: - lo statuto particolare dei professori universitari, che si trovano in tutti i posti più in vista della gerarchia sociale, il che contrasta con le con,dizioni mediocri in cui si svolge l'insegnamento superiore; - la qualità degli uomini e l'originalità dei loro lavori, che contrasta con l'organizzazione arcaica -dell'Università, sia per quanto concerne l'insegnamento, sia per quanto concerne la ricerca; - i rapporti fra Università e industria, che per certi risp·etti sembrano due mondi distinti e per altri invece, specie attraverso la funzione di alcuni uomini, sembrano lavorare in comune; - il dinamismo, l'a·pertura mentale, una certa « aggressività » di taluni ambienti, che contrastano con il formalismo burocratico -di altri. Ma non è sull'analisi contenuta nel Rapporto che intendiamo fermarci in questa sede, tanto più che speriamo possa essere stampato e · diffuso in Italia malgrado l'ostilità degli ambienti ufficiali della ricerca, bensì su taluni aspetti •delle sue conclusioni che ci paiono più interessanti ai fini del presente discorso. E precisamente : anzitutto che le soluzioni da escogitare devo,no essere quanto più flessibili possibile e non rigide, on·de si possano facilmente adattare ai mutamenti rapidi da cui il settore è caratterizzato; suscettibili cioè di svilupparsi e trasformarsi con lo svilupipo stesso della ricerca. In secondo luogo che in Italia, come in tutti i paesi di antica cultura, « è difficile sostituire nuove strutture, rese necessarie .dal dinamismo economico del paese, a quelle che vengono condannate dalla rapi 1dità stessa della sua evoluzione ». Infine che è in·dispensabile separare nettamente le responsabilità e cioè distinguere chiaramente gli organismi che devono formulare una politica della ricerca scientifica e tecnologica dagli organismi incaricati _ di eseguirla e controllarla. Sono pro·prio questi i problemi fondan1entali che si pongo-no sia fasci~mo, che aveva portato fino alla caricatura il gusto del progresso ed il desiderio del nuovo, avrebbe in pratica contribuito a ripristinare ed a conservare il modello culturale italiano tradizionale, fondato sull'umanesimo classico. In quanto poi all'accusa di « aver relegato le scienze naturali e sperimentali al campo delle pseudoscienze» si tratta della solita confusione ingenerata dall'uso del termine « pseudoconcetto » su cui rimando al mio saggio p,ubblicato nel n. 142 di questa Rivista. 8 Bibiiotecaginobianco
' . ., ... I , La ricerca: un discorso da rinnovare quando si parla delle modifiche di struttura del C.N.R., che oggi è un organismo· ambiguo che unifica in sé i poteri ·di formulare o per lo meno proporre la politica scientifica e nello stesso tempo, tramite i propri centri ed istituti, farla eseguire; sia quando si parla di un Ministero della Ricerca scientifica e tecnologica, i cui scopi istituzio-nali non possono che essere condivisi, ma che, nella formulazione ,del ben noto disegno di legge governativo, viene lasciato privo di mezzi finanziari e di strumenti giuridici idonei ad attuare quella politica della ricerca che fino ad oggi è sempre mancata, almeno come sintesi di interessi scie11tifici e settoriali e come strumento della realizzazione di obbiettivi di interesse economico e sociale. E quan,do si parla di « mezzi giuridici » non si vuole intendere l'antiquato armamentario dei concerti, delle vigilanze, dei ruoli di personale, ma di nuove capacità d'azione al di fuori della « ,prassi » tradizionale della nostra amministrazione, di nuove possibilità di dialogo ,diretto con il mondo della ricerca e della produzione, dalle quali possano scaturire al tempo stesso i nuovi orientamenti ed i nuovi mezzi per portarli ad attuazione. Parlando di strumenti di azione nel campo della politica scientifica è giocoforza rivolgere uno sguardo al mondo anglosassone. È stato detto di recente, in seguito ai risultati .dell'indagine svolta dal gruppo di esperti dell'OCSE sull'organizzazione della ricerca negli Stati Uniti 7., che la politica scientifica di quel paese è caratterizzata proprio dalla mancanza di una politica. Anche se evidentemente alquanto paradossale, l'affermazione trova una sua spiegazione alla luce del ben noto empirismo anglosassone e ·della vocazione liberistica della democrazia nordamericana. È facile tuttavia, anche in quel paese, ravvisare delle strutture organizzative e delle consuetudini - le grandi « agenzie » pubblicl1e di ricerca ad esempio, gli hearings delle commissioni congressuali su aspetti particolari e generali della ricerca scientifica O· dello sviluppo tecnologico - che testimoniano come il settore non sia abbandonato a sé stesso, come sull'attività pubblica nel campo della ricerca venga esercitato un efficace controllo di merito e una costante verifica degli orientamenti in relazione agli obbiettivi di politica generale. L'arretratezza dello sviluppo scientifico e tecnologico italiano, dalla quale solo pochi e ben determinati settori possono essere esclusi, gli squilibri di sviluppo tutt'ora esistenti tra settori economici e spazi geografici diversi, fanno sì che in Italia non si possa comunque rinunciare, almeno nella fase attuale, ad una politica della ricerca coordinata 2 E va qui notato, di passaggio, che gli ambìenti responsabili degli Stati Uniti 1 hanno accolto di buon grado le critiche del Rapporto, cui è stata data vasta pubblicità, e le hanno discusse francamente. 9 ti . • ~. ~-■ b· iç>t~caginot?ianco ,.
Felice Ippolito a quella economica generale espressa dal piano. Il riferimento a soluzioni di tipo• anglosasso,ne, va indubbiamente temperato alla luce di una situazione particolare che richiede l'attuazione ·di scelte secondo una scala di priorità destinata a lasciare, almeno in una fase iniziale, aspirazioni inso1ddisfatte e s,peranze deluse. Sareb,be in grado il futuro Ministero della Ricerca di attuare questa politica d'urto? La sua azio·ne di orientamento e di coordinamento dovrebbe scuotere interessi che si arroccano non solo nell'Università, ma negli enti pubblici di ricerca e nelle industrie di Stato e private. Il maneggio dei suoi fondi, peraltro modesti (essi rappresenterebbero press'a poco il 3,7% dell'intera spesa di ricerca prevista dal piano economico quinquennale ed ammontante a 1.320 miliardi di lire) rischierebbe di portare ad una polverizzazione delle risorse non molto diversa da quella che si verifica oggi con i fondi del C.N.R. impiegati per turare le falle della precaria finanza universitaria. La lettura della Relazione annuale generale sulla ricerca italiana - l'ultima è quella relativa al 1967, presentata nel settembre scorso· - fornisce, se non altro, un quadro preciso della molteplicità di interessi che occorrerebbe so1ddisfare sulla base di una ripartizione equitativa dei finanziamenti, e, nel contempo, dell'ampiezza dei settori scientifici e tecnologici, che rimangono del tutto scoperti o solo parzialmente sviluppati oggi in Italia. Ma il rap·porto peraltro non costituisce, e non potrebbe essere diversamente, un ,documento di politica scientifica, se non per enunciazioni generiche, per intuizioni isolate, come quella che subordina il successo degli incentivi in favo,re della ricerca industriale, al- , l'esistenza, a monte, di efficienti istituti di ricerca tecnologica avanzata per l'industria, che oggi non esisto110 quasi e che né il C.N.R., oggi, né il Ministero della Ricerca, domani, sono in grado di creare. Per concludere queste poche riflessioni, sembra oramai giunto il momento, nel nostro paese, di inserire nell'apparato governativo e amministrativo, degli ~rgani capaci di elaborare una politica scientifica nazionale, ma la novità stessa della materia, nonché i suggerimenti che possono venirci dall'esperienza di paesi tecnologicamente più avanzati del nostro, escludono che la soluzione del pro·blema risieda nella crea-· zione di un nuovo organismo ministeriale. È necessario .piuttosto, nella fase attuale, che si sviluppino e si intensifichino i rapporti tra classe politica e categorie scientifiche e tecniche attraverso quel tipo di contatti di cui è valido esempio la recente « inchiesta conoscitiva » sulla ricerca industriale condotta dalla Commissione industria della Camera, attraverso quell'istituzionalizzazione di rapporti che ha dato vita in altri paesi agli influenti comitati di consulenza scientifica, che fiancheggiano 10 Bibiiotecaginobianco
I 1 La ricerca: un discorso da rinnovare costantemente il vertice del potere esecutivo. Ben a ragione di recente sulle colonne del « Corriere della Sera» (n. 85, 11 aprile 1968), Luigi Morandi - che di questi contatti tra politica e ricerca è stato un tenace assertore ed organizzatore, attraverso la Federazione delle associazio•ni scientifiche e tecniche (FAST) da lui presieduta - ha parlato di un dialogo che deve proseguire e che sarebbe forse utile estendere ad altri settori: « all'istruzione e po,i all'agricoltura, ai lavori pubblici, all'urbanesimo e (perché no?) anche al sistema tributario ». Noi per quanto qui ci concerne insisteremmo perché il sistema ve11ga esteso subito anzitutto, all'istruzione e, nel caso specifico, a quella universitaria così strettamente co,nnessa alla ricerca. Da un ampio dibattito, che potreb\be utilmente svolgersi a partire da questa fase elettorale e svilu·pparsi nel primo periodo di vita ·del nuovo Parlamento - che per ben noti motivi non potrà cominciare ad operare prima del prossimo autunno - senza nascondere la testa come lo struzzo, ma invece discuten,do a viso aperto e col sistema costruttivo delle « tavole rotonde » e degli hearings, sarà forse possibile trovare ed indicare soluzioni strutturali sia per il problema della ricerca che per le più gravi questioni universitarie. Ma per l'una e per l'altra le soluzioni ·do.vranno essere flessibili, adattabili, non burocratiche, neoessariamente fuori dagli schemi a dir poco vetusti dalla nostra ·pubblica amministrazione. E prima di presentare nuovi progetti di legge, in sostituzio,ne di quelli in parte fortunatamente decaduti, sentiamo la voce di tutti gli interessati e segnatamente dei giovani, siano essi ricercatori o studenti, perché nella loro paradossale protesta vi è pur qualcosa di vero : il rifiuto di inserirsi in un mondo che la nostra generazione, dopo1 la guerra e l'avvento ,dell'era atomica, ha ricostruito lasciando inalterate talune arcaiche strutture e non mutando sostanzialmente il costume. FELICE IPPOLITO .. • • 11 · Bi biiotecaginobianco
I comunisti italiani e l'analisi· del capitalismo di Giuseppe Galasso Nell'articolo pubblicato nello scorso numero di « Nord e Sud» (Le tappe ideologiche del PCI) abbian10 iniziato l'esame della elaborazio·ne ideologica compiuta dai comunisti italiani negli anni che vanno dal 1943 al 1967. Ci siamo soffermati, in particolare, sulla interpretazione negativa data dal PCI della storia d'Italia, sul rapporto tra rivoluzione e riforme, sull'atteggiamento dei comunisti italiani nei confronti del comunismo internazionale, sulla ricerca e la definizione della « via italiana al socialismo». Ci proponiamo ora di mettere in luce l'analisi del capitalismo, internazionale ed italiano, che il PCI ha portato avanti nel corso, di questi anni. 1. L'IMPERIALISMO E I MONOPOLI NELLA POLITICA INTERNAZIONALE DELL'EPOCA DEL PASSAGGIO DAL CAPITALISMO AL SOCIALISMO. Per quanto riguarda l'analisi della vita politica internazionale, è lecito affermare che il punto di partenza per gfi sviluppi dati in seguito alla sua posizione in materia fu segnato dal PCI con la sua adesione alla « risoluzio·ne comune approvata alla conferenza di informazione di alcuni partiti comunisti europ·ei » alla fine del settembre 1947. La « risoluzione » era un do,cumento storico straordinariamente importante, perché costituiva la dichiarazione ufficiale del mondo· comunista sulla rottura della coalizio,ne antifascista costituitasi in occasione della seconda guerra mo·ndiale. 12 A questo scopo la « risoluzione» precisava innanzitutto la diversità degli obiettivi di guerra tra l'URSS ( « il ristabilimento e il consolidamento dei regimi democratici in Europa, la liquidazione del fascismo, le misure proprie a p1 revenire la possibilità di una nuova guerra di aggressione da parte della Germania, 1a creazione di una cooperazione in tutti i campi e per un lungo periodo tra i popoli d'Europa») e, dall'altro lato, gli Stati u·niti e l'Inghilterra ( « l'eliminazione dei concorrenti sui. mercati _, la Germania e il Giappone -- e l'instaurazione della loro egemonia»). Il disaccordo « nella determinazione degli scopi della guerra e dei compiti relativi Bibliotecaginobianco
I I comunisti italiani e l'analisi del capitalismo all'organizzazione del mondo dopo la guerra» si era poi approfondito, dando luogo alla cristallizzazione di « due linee politiche opposte»: « a uno dei poli, la politica dell'URSS e degli altri paesi democratici, che mira a scalzare l'imperialismo e a rinforzare la democrazia; al po·lo oppo-. sto la politica degli Stati Uniti e dell'Inghilterra, che mira a rinforzare l'imp,erialismo e a soffocare la democrazia». Venivano quindi denunciate sia la « crociata» che Stati Uniti e Inghilterra avevano mosso contro l'URSS e le « nuove democrazie», « diventate un ostacolo alla realizzazione dei ,piani imperialistici»; sia <da minaccia dell'impiego diretto della forza, il ricatto, l'estorsione, ogni sorta di provvedimenti, di pressione politica ed economica, la corruzione, l'utilizzazione dei conflitti e delle . contraddizioni interne», che erano i « mezzi tattici» coi quali il campo imperialista, « sotto la maschera del liberalismo e del pacifismo», cerca\'a di imporre la sua linea reazionaria. In ,particolare, infine, venivano stigmatizzati il piano Marshall, definito come « la parte europea della politica di espansione» degli Stati Uniti in tutto il mondo; e il consenso che ad esso e alla posizione im,perialista veniva dalla « politica di tradimento» dei socialdemocratici europei (Blum, Schumacher, Attlee, Saragat, ecc.). Il dovere dei partiti comunisti era, su questa base, e molto ovviamente, di opporsi alle mire di asservimento politico ed economico delle altre parti del mondo da parte della maggiore potenza imperialistica, di battersi in ciascun paese per « la causa dell'onore e dell'indipendenza nazionale » e « per la la difesa della ,pace » 1. La « risoluzione » istitutiva del Cominform veniva fatta propria dalla direzione del PCI il 19 ottobre 1947. Da allora in poi il giudizio del PCI sull'•evolv,ersi della situazione internazionale si è mosso coerentemente sulla base di questi presupposti assai generali, che impostavano l'analisi dèlla politica internazio-nale do-po la seconda guerra mondiale come analisi di una nuova fase dell'im,perialismo e ,del capitalis·mo. La Dichiarazione programmatica dell'8° congresso del PCI è il documento ufficiale del partito che più esplicitamente di ogni altro puntualizza i tratti della società capitalistica e imperialistica. « La società capitalistica» -- è detto in essa - « è fondata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio, i quali vengono amministrati nell'interesse dei capitalisti, per creare e continuamente accrescere il loro profitto. Il lavoro, considerato come una merce, viene sfruttato a questo scopo. Questa società è minata da profonde contraddizioni oggettive e lacerata dagli antagonismi di classe. Mentre accumula e concentra le ricchezze sociali nelle mani dei gruppi capitalistici, che tendono ad avere il monopolio sia della ricchezza che delle attività produttive per ricavarne nel loro interesse il profitto massimo, dall'altro lato crea la massa dei p1 roletari, che vendono per un salario la loro forza lavoro. La produzione assume un carattere sociale che via via si accentua, in con1 Vedi il testo della « Risoluzione » in La politica dei comunisti dal quinto al sesto Congresso. Risoluzioni e documenti, Roma (senza anno), pp. 297 segg. , 13 Bibiiotecaginobranco
Giuseppe Galasso traddizione con il carattere privato della proprietà e della gestione dei mezzi produttivi. Il livello di esistenza della maggioranza degli uomini, a cominciare dai proletari, non corrisponde quindi al volume e alle possibilità di aumento delle forze produttive è delle ricchezze sociali, ma è subordinato alle esigenze di continuo accrescimento del profitto dei capitalisti. Le crisi periodiche, la disoccupazione, il basso livello delle mercedi unito aillo sperpero delle classi ricche, il continuo febbrile aumento della intensità del lavoro spingono gli operai a combattere per i loro interessi di classe ... Questa lotta urta però contro limiti che non possono venire superati. Quando le conquiste della classe operaia e dei lavoratori, andando al di là dei miglioramenti parziali compatibili con le leggi del profitto capitalistico, investono le basi del potere economico dei capitalisti, allora appare in modo sempre p,iù aperto che a difesa di questo sta il potere politico e il contrasto si trasporta su questo terreno ... Nella società capitalistica il potere politico è nelle rnani dei gruppi dirigenti borghesi e il governo è uno strumento a loro disposizione (dittatura della borghesia). Le libertà democratiche sono sempre soggette a limiti e al pericolo della loro distruzione. Ad esse non corrisponde mai una sostanziale eguaglianza tra gli uomini che si dividono in sfruttati e sfruttatori ... La lotta diviene più generale e più aspra quando si entra nella fase dell'imperialismo. Le oligarchie capitalistiche tendono ora in modo accentuato al monopolio delle forze produttive, in ogni singolo paese e in tutto il mondo. Esse assoggettano al loro domini popoli interi, privandoli di qualsiasi libertà e benessere, riducendoli al rango della schiavitù coloniale. Le contraddizioni interne di tutto il sistema si manifestano con nuova estrema acutezza. La lotta delle classi si acuisce, si esaspera la lotta fra gli stati capitalisti per la spartizione del mondo. Dal contrasto aperto per il dominio del mondo escono conflitti armati su scala mondiale, con lo sterminio di vite umane e ricchezze infinite. Tutto lo lo sviluppo dei rapporti tra i popoli, gli stati e le classi assume un carattere di acutezza febbrile, che annuncia che il 'sistema stesso dell'imperialismo è alla vigilia della sua fine» 2. A loro volta le Tesi dello stesso so congresso ribadivano che « il capitalismo e l'imperialismo conservano, in questa fase nuova, le loro caratteristiche fondamentali. I progressi della tecnica e della produzione sono accompagnati da una accentuata concentrazione monopolistica, non si traducono in progresso sociale. I monopoli capitalistici sempre più subordinano a sé gli apparati dello stato e procedono alla çreazione di organismi nazionali e internazionali, allo scopo di dominare i mercati, limitando sempre più la sfera di esistenza e di sviluppo delle piccole e medie imprese. Essi fanno gravare sulla collettività il peso delle misure volte a difendere e accrescere i loro profitti. La evoluzione economica continua a compiersi in modo ineguale e a salti, tra un acuirsi dei contrasti di classe, degli squilibri sociali e delle rivalità tra gli stati, manifestandosi sempre in modo acuto tutte le contraddizioni del sistema capitalistico » 3. Si tratta - come si vede - di una dichiarazione che è pienamente 2 VIII Congresso, cit., pp. 897-900. 3 I vi, p. 923. 14 Bibiiotecaginobianco
I I comunisti italiani e l'analisi del capitalismo nella linea della ortodossia marxistica e leninistica tradizionale. Il carattere generale di essa è, tuttavia, importante perché, insieme ai legami del PCI con il campo comunista, essa è il presupposto teorico delle posizioni che il partito assume sui problemi di politica internazio,nale. Fin dalla dichiarazione del settembre 1947 era stato·, tuttavia, affermato che « la lotta tra (i) due campi, l'imperialista e l'antimp·erialista, si svolge mentre si accentua in modo continuo la crisi generale del capitalismo, si indeboliscono le forze del capitalismo e si consolidano le forze del socialismo e della democrazia 4 • I congressi del PCI hanno, in seguito, progressivamente segnato le tappe di questo mutamento 1 del rapporto di forze tra i due campi. Il 7° congresso annotava: a) - la costituzione della Cina popolare; b) - il grande slancio dell'economia e della società sovietiche susseguito alla ricostruzione postbellica; c) - lo sviluppo e il consolidamento dei regimi democratici popolari sorti dopo la seconda guerra mondiale in Europa. L'80 congresso aggiungeva, alla constatazione che il socialismo si era tradotto in « un sistema mondiale di stati », spezzando radicalmente l'accerchiamento capitalistico, una serie di altre constatazioni non meno importanti: il fatto che fosse sorto, « sulle parziali rovine del sistema coloniale, un nuovo gruppo di stati indipendenti »; il fatto che fosse stato « spezzato il monopolio atomico americano», e, con esso, « la illusione di potenza che su di esso si fonda va »; il fatto che il gra11:de sviluppo del movimento per la pace avesse fatto fallire « il tentativo dei gruppi imperialistici più aggressivi di riconquistare un incontrastato predominio spingendo il mondo verso l'abisso di un nuovo conflitto mondiale»; le vittorie riportate sull'imperialismo in Corea e in Indocina; la conferenza di Bandung; la proclamazione dei principi della « coesistenza pacifica ». Il 90 congresso prendeva atto dell'esistenza di « segni innegabili dell'inizio di un periodo nuovo» in consegi.1enza dell'esaurirsi della « guerra fredda». Il congresso vedeva in ciò « il risultato sia della tenace lotta per la pace condotta prima di tutto dalla Unione Sovietica, dai paesi socialisti e da ingenti masse popolari; sia delle prof onde, irreversibili trasformazioni che si sono prodotte nella struttura economica e politica del mondo; sia dello stesso grado di sviluppa raggiunto oggi dalla civiltà umana ». Come conclusione si affermava che « la coesistenza e la collaborazione .per scopi pacifici si impongono, anche se perdurano le resistenze e le contraddizioni qerivanti dalla natura stessa dell'imperialismo. Evitare la guerra e instaurare un nuovo ordine internazionale diventa un necessario compito attuabile e con1une, dettato dalla stessa avanzata dell'uomo verso la conoscenza e la conquista di nuovi mondi, di un ben~ssere generale, di una organizzazione economica e sociale razionalmente ordinata». Il congresso affermava, inoltre, che « le tendenze proprie del capitalismo » impediscono di stabilire tra paesi sviluppati e paesi ex-coloniali « rapporti tali che escludano lo .sfruttamento economico e la sog4 Cfr. La politica dei comunisti dal quinto al sesto Congresso, cit., p. 30~. , 15 , . Bìbliotecaginobianco
16 Giuseppe Galasso gezione politica»; e che, anzi, quei rapporti erano aggravati dalle « oscil• !azioni della congiuntura economica nei paesi capitalistici». Uno sforzo del capitalismo per uscire fuori dalla sua « crisi generale, che continua e si approfondisce » insieme alle sue periodic.he crisi a carattere ciclico (veniva richiamata la recess,ione americana del 1957), era visto nella « creazione di organismi economici supernazionali (CECA, MEC, ZLS ecc.) ». Il giudizio su questi organismi era particolarmente interessante. Da un lato infatti si diceva che essi « esprimono di fatto una tendenza og- , ' gettiva alla internazionalizzazione della vita economica, che però soltanto col socialismo potrà trovare la sua soluzione organica e giusta». Dall'altro lato, si asseriva che « in essi si riproducono, in più alte e più gravi proporzioni, le contraddizioni del capi talismo » e tra queste contraddizioni veniva anche indicato un attenuarsi della persistente supremazia economica americana a causa dello sviluppo delle economie capitalistiche di alcuni paesi europei, tra cui la Germania. Questo giudizio sarebbe stato poi ripetuto dal 100 congresso. In tali condizioni il peso degli armamenti, nonostante la loro funzione di attenuazione della congiuntura sfavorevole, non era più sopportabile ,per i popoli e i bilanci di molti dei paesi più floridi ed era all'origine della svolta di « una parte im.portante dei gruppi dirigenti borghesi » verso la distensione. Ciò significava una crisi sia di quei « gruppi sempre più decisamente orientati verso la conservazione sociale, la reazione, la esasperazione dei contrasti internazionali », il cui avvento al potere era stato favorito dalla guerra fredda; sia delle gerarchie ecclesiastiche e dei partiti cattoljci che avevano aderito senza riserve alla guerra fredda ed ora si ostinavano « nel respingere la nuova realtà internazionale». Peraltro, malgrado le sue crisi interne e le sue sconfitte nel terzo mondo e nella lotta ,per la pace, rimaneva fermo che « né una distensione dei rapporti internazionali e nemmeno il passaggio a una pacifica coesistenza possono significare una trasformazione della natura del capitalismo e dell'imperialismo op,pure l'estinguersi, perdurando il regime capitalistico, della lotta delle classi ». 'Il 90 congresso faceva anzi un'analisi pienamente negativa degli sviluppi dell'economia e della società capitalistica. « Il grande capitale monopolistico, diventato forza prevalente in tutti i grandi stati occidentali, ferisce con la sua espansione gli interessi di strati molto numerosi di piccola e media borghesia produttrice. La semp,re più profonda e rapida penetrazione del capitalismo nelle campagne accentua la crisi dell'agricoltura, resp 1 inge dalla produzione centinaia di migliaia di c_ontadini, le cui aziende vanno in rovina. Al rafforzamento impetuoso dei grandi monopoJ.i industriali e finanziari non corrisponde una elevazione del livello generale della vita economica e dell'esistenza dei lavoratori, ma una intensificazione del lavoro, una accentuata resistenza alle rivendicazioni operaie, la presenza in alcuni paesi di una disoccupazione di massa e l'apparire, anche in paesi di vecchia civiltà industriale, di zone sottosviluppate». In conseguenza di ciò si delineava la politica aggressiva e antidemocratica dei monopoli e dei gruppi politici da essi manovrati e un episodio ne veniva visto anche nel colpo di stato francese del 13 maggio 1958. D'altra parte, però, ciò smascherava i gruppi borghesi reazionari che venivano « in contrasto con correnti sempre più larghe di opinione pubblica e con le necessità stesse della situazione oggettiva», per cui diventava possibile « isolarli e concentrare la lotta contro di essi » Bibiiotecaginobianco
.. I I comunisti italiani e l'analisi del capitalisn-io e rivendicare « alla classe operaia una funzione particolare di avanguardia e guida di tutte le forze della democrazia». L'analisi del 90 congresso è stata proseguita dal 100, la cui affermazione princip•ale sta nell'aver stabilito che « l'epoca nella quale viviamo è l'epoca del passaggio dal capitalismo al socialismo», mentre « il capitalismo non è più, da tempo, la forza dominante della società moderna ». Questa affermazione è ancora una volta fondata sul fatto che - mentre « si sviluppa e si rafforza il sistema degli stati socialisti » e « l'Unione Sovietica intraprende la costruzione delle basi tecniche materiali della società comunista>> - invece « l'imperialismo ha perduto quasi totalmente la sua base coloniale e gli stati e popoli liberi del vecchio mondo delle colonie si sforzano anch'essi di trovare e seguire una via di sviluppo economico ·che non sia più quella pesante e dolorosa dello sfruttamento capitalistico»; anzi, una prospettiva di svolta verso il socialismo si presenta anche nei paesi « dove sussistono gli ordinamenti borghesi». Nel campo della politica internazionale il fatto più significativo in questo senso veniva visto nell'affermazione di un regime socialista a Cuba, « a poche centinaia di chilometri dal più grande stato imperialista». La coesistenza pacifica, la pacifica competizione tra le potenze a diverso regime venivano, tuttavia, confermate come le sole prospettive valide nelle relazioni internazionali nella « convinzione che oggi la guerra non è più inevitabile». Veniva quindi esposta di nuovo la tesi secondo la quale al riconoscimento della « minaccia di tma guerra nucleare distruttiva» si era dovuto procedere « persino nel gruppo che fa capo al presidente Kennedy », anche se questo gruppo aveva egualmente dovuto cedere alle pressioni di altri gruppi su molte importanti questioni. Così diventava più facile, come già aveva sostenuto il 90 congresso, riconoscere e far riconoscere i gruppi contro cui andava concentrata la lotta per la pace ( « stato maggiore e... organizzazioni tendenzialmente fasciste degli Stati Uniti », « militarismo tedesco», « militarismo francese»). Esplicita era poi l'affermazione che, da un lato, « la pacifica coesistenza deve fondarsi, oltre che sul ripudio della forza come mezzo di soluzione delle vertenze internazionali, sul rispetto della indipendenza e sovranità di ogni paese e sul non intervento nelle questioni interne degli altri stati », sicché sia consentito « ad ogni popolo di risolvere a seconda delle sue aspirazioni e dei suoi interessi tutti i problemi della sua esistenza»; dall'altro lato, « la lotta per la pace e la pacifica coesistenza si lega alla lotta per la democrazia e per il socialismo, e quindi alle vitali rivendicazioni economiche e politiche della classe operaia, delle masse popolari, del ceto medio produttivo e intellettuale», sicché « distensione dei rapporti internazionali e pacifica coesistenza non significano in alcun modo una rinuncia a queste rivendicazioni, né tanto meno un consolidamento dello status quo o· una divisione del mondo in sfere di influenza, ma al contrario costituiscono il presupposto per l'avvento di nuovi gruppi sociali alla direzione della vita economica e politica ». Sulla conciliabilità pratica dei due aspetti della questione non venivano però date· indicazioni concrete. Infine, 1'110 congresso del PCI, 1pur ribadendo che « l'imperialismo è per sua natura fonte permanente di una politica aggressiva e di guerra;>, ha sostenuto ancora una volta che « esso però non può più fare quello che vuole» e che « la guerra non è inevitabile». La prova ne veniva vista 17 . Bfblioteca·ginobian·co
18 Giuseppe Galasso anche nella vicenda della politica kennediana, interpretata, da un lato, come « preoccupazione di evitare agli USA e al mondo intero la catastrofe d'una guerra mondiale» e, dall'altro lato, come « p,roposito di impedire ogni mutamento dello status quo a favore della causa dell'indipeo.denza dei popoli e del socialismo, di consolidare il blocco atlantico anche sul piano economico e politico, di estendere la penetrazione degli USA e degli altri paesi imperialistici in Asia, in Africa e nell'America Latina». Del kennedismo veniva, però, respinto il proposito di fondare l'accordo russo-americano « sulla divisione del mondo in ' sfere d'influenza ', divisione che veniva presentata come l'unica base possibile per la coesistenza pacifica >~; e così pure « il proposito di sfruttare le differenze e i contrasti fra i paesi socialisti, le divisioni fra i paesi di nuova indipendenza e i conflitti di classe e politici all'interno di questi ultimi ». L'assassinio di Kennedy v~ niva giudicato « di per sé una prova assai eloquente della virulenza dei gruppi reazionari e oltranzisti presenti negli USA e della gravità della crisi sociale e politica che travaglia questo paese e di cui il problema negro costituisce un nodo essenziale». La politica post-kennediana degli USA veniva, a sua volta, giudicata come un'accentuazione degli « aspetti aggressivi e ricattatori della loro politica estera», tale da configurare un « tentativo di modificare i rapporti di forza attualmente esistenti, per imporre su queste basi, ad un mondo che non può rimanere fermo, una cristallizzazione della situazione, per riaffermare una direzione imperialistica in vaste aree del globo». E, naturalmente, in questo quadro veniva anche giudicata la guerra del Vietnam con la sua pericolosità per la pace mondiale. L'llO congresso portava, inoltre, in luce la prima interpretazione completa del PCI sulla fase storica e sulle caratteristiche politico-sociali del terzo mondo all'indomani del pratico completamento del processo di decolonizzazione. Già il 100 congresso aveva, nelle sue Tesi, esposto una compiuta definizione del neo-colonialismo come lo sforzo dei « grandi paesi capitalistici già possessori di vasti imperi coloniali» e di « tutti quei paesi dove l'economia capitalistica ha assunto i caratteri dell'imperialismo» per « mantenere in vita, in nuove forme, quello sfruttamento e quella aggressione di popoli interi che consentirono, nel passato, l'accumulazione di ricchezze e profitti sterminati ». Sotto « l'apparenza di un generoso aiuto paternalistico» si imponevano ai popoli ex coloniali « indirizzi che ne impediscono lo sviluppo democratico e mantengono la loro economia in condizioni di subordinazione e soggezione a quella delle metropoli e del grande capitale monopolistico in esse dominante». L'llO congresso aggiungeva che le differenziazioni poi sopravvenute fra i paesi ex coloniali erano dovute in p,rimo luogo a « ragioni oggettive»: « da un lato, perché nello sviluppo interno di questi paesi emergono le contraddizioni di classe e p·olitiche, anche profonde; dall'altro, perché questi paesi sono partiti da livelli diversi di sviluppo e perché l'imperialismo, oltre l'eredità della miseria e della fame, ha lasciato 'loro l'eredità di vecchi contrasti nazionali, etnici, religiosi e una grande incertezza e talvolta arbitrarietà nella loro stessa configurazione di stati nazionali indipendenti. In una serie di paesi tutto ciò ha portato alla formazione di nuovi gruppi djrigenti o allo spostamento dei vecchi gruppi dirigenti su posizioni più avanzate sia sotto il profilo sociale che sul terreno internazionale. In molti casi, Bibiiotecaginobianco
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