Sergio Antonucci e dalla conseguente frustrazione iniziale che ha caratterizzato il loto arrivo nelle « grandi città», da « goliardi»; e certi atteggiamenti scandalizzati e stupiti di fronte agli aspetti culturali e politici ~elle agitazioni studentesche illustrano chiaramente ciò che costoro· intendevano ed intendono per goliardismo: oscenità da quattro soldi, parolacce, case di tolleranza, ma ancestrali paure e tabù e disprezzo per ogni approfondimento culturale che vada fuori di certi schemi. Venticinque anni or sono la caduta del fascismo e la guerra perduta li colsero uomini già fatti e maturi, facendo riemergere bruscamente tutti i complessi piccolo.borghesi che il fascismo aveva compensato coi miti imperiali, le aquile, i pennacchi: è statoj assurdo pensare che fosse possibile ricostruire in loro qualcosa di nuovo, far loro credere in qualche nuovo- valore. La loro cultura, nella maggior parte dei casi, si è formata alle letture « classiche » del liceo (con lo strascico di qualche « amore giovanile » per un autore greco o latino, tale da consentire ancora oggi la recitazione di qualche versetto con scansione metrica o qualche dotta citazione del testo delle loro sentenze, arringhe e dissertazioni), ed a quelle « giuridiche» dell'Università, dei concorsi, dei lavori professionali. E sappiamo qual'era il clima formativo nei loro anni giovanili. È probabile che ben pochi (anche perché presto allietati da numerosa prole e conseguenti problemi economici) abbiano aperto un libro dopo di allora. Sì, forse avranno letto qualche « rievocazione » di guerra edizione Longanesi o Rizzo li (tale da rinfocolare il concetto di « tra~ dimento »); forse ora compreranno puntualmente i fascicoli dei fratelli Fabbri: ma ovviamente essi ignorano tutto di urbanistica, di sociologia; parlar loro di salvaguardia del paesaggio, di limitazione del diritto di proprietà, di pianificazione territoriale ed urbanistica è come nominare il diavolo ed il peccato. Ed è chiaro che essi non possono giudicare e décidere in questo campo se non in base alla quotidiana rimasticatura di un concetto del diritto di proprietà per il quale il « proprietario del fondo » è padrone assoluto di fare in casa sua ciò che gli pare, purché n·on contrasti con norme che sono sempre quelle del diritto romano~ se non in base all'unico vero interesse maturato negli anni passati nella burocrazia o comunque al servizio dello Stato: l'amore del cavillo giuridico, il principio di legittimità svincolato da qualunque contesto, l'ansia formalistica. Così vediamo arrivare in Cassazione i furti di tre mandarini, i baci nei giardini e qu~lli non graditi, i manichini in topless. Così li vediamo disquisire a tutti i livelli amministrativi e giurisdi- · zionali quasi sempre contro qualsiasi tentativo di impostare le nostre visioni o realtà urbanistiche in una prospettiva meno arcaica, cont~o chiunque osi protestare per le manomissioni di monumenti, natura, paesaggio. È logico che in essi, sull'amore della bellezza, dei valori della cultura e dell'arte, prevalga un preteso « senso giuridico», che molto spesso viene contrabbandato anche per « senso dello Stato». Così accade anche (ed è una contraddizione solo apparente), da una parte, che ciò che noi vorremmo salvagLlardare e difendere è un bene di molti, mentre la loro educazione reazionaria ed autoritaria 64 Bibliotecaginobia·nc~
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