Massimo Galluppi tuti delle basi militari sovietiche di rilevanza strategica generale, cioè delle basi aeree e missilistiche, mediante accordi bilaterali fra l'Unione Sovietica ed i paesi ospitanti; 5) gestione collegiale dell'armamento nucleare. Ora, se si esamina la dichiarazione « sulla sicurezza europea », emessa al termine dei lavori della conferenza, ci si rende conto che i romeni non sono riusciti a far prevalere il loro punto di vista in nessuna delle questioni sopra indicate. Ci si può allora ragionevolmente chiedere se i dirigenti di Bucarest non abbiano voluto rientrare nei ranghi e se questo fatto non debba essere interpretato come una vittoria sovietica. In realtà, un esame più attento della situazione induce a tenere conto di altri fattori e ad esprimere un giudizio sostanzialmente diverso. Innanzitutto è bene precisare che l'interpretazione « catastrofica » degli avvenimenti del maggio scorso - secondo cui o i russi avrebbero accettato il punto di vista romeno o i romeni sarebbero usciti dall'alleanza - era probabilmente un'interpretazione infondata. I romeni, infatti, non hanno mai posto la questione in questi termini. La loro polemica contro i blocchi militari e contro la permanenza di basi militari e di truppe straniere nel cuore dell'Europa centro-orientale non mirava a preparare il terreno per lo sganciarnento del loro paese dal sistema militare in cui esso è integrato. Anche se l'obbiettivo finale poteva essere questo, l'obbiettivo immediato era un altro. Non si trattava di abbandonare l'alleanza militare comunista per acquistare una posizione di neutralità di dubbio valore pratico; si trattava di operare all'interno di essa per realizzare il suo progressivo superamento, di aggravarne la crisi interna per indurre i suoi membri ad accantonarla e a sostituirla con un sistema di sicurezza collettivo diverso, magari di dimensioni più ampie, che assicurasse in ogni caso una maggiore libertà d'azione agli Stati che ne fanno parte. Se questa interpretazione è esatta, la « ribellione romena », anche se appare ridimensionata nei tempi e nei modi di esecuzione, non sembra avere perso alcunché del suo significato eversivo. La disgregazione del blocco orientale appare come il risultato pii.1 o meno immediato di ogni azione ispirata da Bucarest. E anche se tale avvenimento non può essere imputato soltanto all'iniziativa romena, ma deve essere necessariaf!lente ricondotto all'ampio processo di revisione dei rapporti politici intercomunitari in atto nel sistema comunista europeo, non vi sono dubbi sul fatto che l'atteggiamento della Romania è determinante e tale da collocare questo paese in una posizione assolutamente eccentrica nei confronti delle altre « democrazie popolari ». 80 BibliotecaGino Bianco
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