, Le keynésien malgré lui nere le spese, e viceversa. In passato, tale lentezza era stata attribuita ai tempi tecnici di elaborazione dei progetti esecutivi da parte degli uffici interessati; tanto che il ministro Medici, allora titolare del dicastero del Bilancio, aveva promosso la creazione di un « patrimonio progetti » da tenere di riserva per essere prontamente utilizzato all'occorrenza. Ma, a giudicare dall'esperienza successiva, sembra che la lentezza dipenda non tanto dai tempi tecnici quanto dai tempi burocratici, nei confronti dei quali qualsiasi progettazione preventiva sembra inefficace. Quanto, infine, all'impresa a partecipazione statale, non si vede come essa possa essere considerata strumento di controllo dell'economia, allorché le si riconosce piena autonomia e si dichiara ufficialmente che la sua condotta economica e finanziaria deve rispondere, come quella di un'impresa privata, a criteri di stretta economicità, controllati sul banco di prova del mercato. Sarà un principio saggio, per certi aspetti, ma è certamente un principio sufficiente ad escludere l'impresa a partecipazione statale dal novero degli strumenti di politica economica del nostro paese. Di fronte a questa situazione, si ha l'impressione che il potere economico del settore pubblico tenda a sgretolarsi in tanti centri di decisione quanti sono i singoli ministeri, le aziende autonome, gli enti pubblici economici, le singole imprese industriali a partecipazione statale, ognuno dei quali rivendica la propria indipendenza senza sentirsi responsabile della gestione del pubblico denaro. Si diffonde così inevitabilmente la diffidenza verso la pubblica impresa, che sarebbe per natura portata a dissipare le proprie risorse in una cattiva gestione di parte corrente, trascurando l'accumulazione di capitale produttivo, e per di più muovendo al settore privato una concorrenza ineguale. Considerazioni simili emergono anche dalla Relazione del Governatore (si vedano gli accenni alle pagg. 421, 430, 434-35); vorremmo interpretarli non nel senso di una generica sfiducia verso l'impresa pubblica come istituto, ma come richiami ad una maggiore correttezza nella gestione aziendale e come un monito volto a ricordare che le responsabilità che incombono sull'impresa pubblica sono maggiori e non minori di quelle che incombono sull'impresa privata. Una crisi inutile? Il settore privato dà segni evidenti di aver saputo trarre dalla crisi la lezione che andava tratta. È necessario che anche il settore pubblico non sia da meno e tragga dall'esperienza degli ultimi anni tutti gli insegnamenti che essa offre per la corretta gestione di un'economia moderna. 45 BibliotecaGino Bianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==